TASTIERE E LEONI

Tra me e me.

Esiste una categoria di persone ribattezzata dalla Lucarelli ( mi piace, si sa), LEONI DA TASTIERA.

“Lo schermo del computer e talvolta l’anonimato permettono sempre più spesso la sospensione volontaria delle regole educative e liberano alcuni soggetti da freni inibitori che ci tengono normalmente legati alle norme della nostra rete sociale.

Così sui Social parte la lite o l’insulto, spesso nemmeno troppo velato, e persone ( uomini o donne sia ben chiaro) apparentemente normali si trasformano nei suddetti LEONI DA TASTIERA.

Abbiamo tutti tra le mani una mole di informazioni enorme e la possibilità di sentirci vicini a persone fisicamente anche molto lontane. Vicinanza fittizia, perché si sa, tra noi e il mondo c’è pur sempre il monitor.

Inizia tutto già dall’adolescenza, con i cellulari, gli sms, whatsapp , i gruppi in chat, a cui si ha sempre più accesso illimitato. Al punto che al Gemelli di Roma viene a un certo punto istituito il primo reparto per la dipendenza da Internet, trattato come una vera e propria sostanza stupefacente.

Il problema fondamentale è che comunicare è più che digitare. Esistono aspetti che vanno oltre alla sfera verbale e che riguardano i gesti , la mimica, la postura, il contesto ambientale, le emozioni che si provano avendo un altro essere umano davanti.

( sono antica, lo so ).

Purtroppo oramai le nuove norme sociali non si dissociano più molto da ciò che siamo e da come ci comportiamo. Così uno schermo ci proietta in un mondo in cui un commento È una persona e la foto la SUA personalità. Un mondo parziale in cui devi essere telegrafico ma pregno di significato, pena il DISINTERESSE altrui.

La sostanza è che si digita come leoni da tastiera ma nella vita reale non si sa ruggire. ”

Nascono in questo magma numerose patologie tra cui la sindrome di CAPS LOCK, detta anche più comunemente il morbo del lucchetto, che fa scrivere tutto in maiuscolo tranne ovviamente le lettere accentate, in particolare la “è”.

Ma anche sottocategorie come i LOVERS, con link e post degni del più becero romanzo rosa , i ROSICONI pieni di lagnanze di ogni tipo, i TRUZZI autori di abominevoli errori di scrittura, i BIMBIMINCHIA che vivono di fans club e frasi di canzoni, e infine i TUTTOLOGI. Sono i più pericolosi , padroneggiano qualunque argomento: musica, spettacolo, astrologia, libri, politica, religione,… Dai un argomento e loro hanno il link pronto. Dove non arrivano loro arrivano i quiz ( il tuo nome sioux cosa significa? Quale colore sei? Quale lavoro dovresti fare?) o le fan page, con cui condividono dal pensiero di Goethe alla frase di Capossela passando per Alda Merini e Marco Masini ( ebbene sì).

I leoni da tastiera hanno molte facce e sono pressoché inarrestabili. Puoi provare a fermarli per strada tentando di farli vergognare.

Succederà. Chiederanno anche scusa.

Ma… appena girato l’angolo agguanteranno l’iPhone e inizieranno, inesorabilmente , a digitare. Lo faranno così velocemente che dimenticheranno tutti gli accenti, le doppie e le “h” del verbo avere.

Leggerai il nuovo post con rabbia crescente.

La buona notizia c’è.

ESISTE UNA CURA.

Per te. Non per loro ovviamente.

Puoi ignorarli, eliminarli, bloccarli, escluderli dal tuo mondo virtuale. Così che l’unico problema sarà incontrarli di tanto in tanto nel mondo reale.

E lì, hai già vinto.

Senza tastiera perdono la forza e la dialettica sarà a zero.

Vaccìnati. Velocemente. L’epidemia è dietro l’angolo.

Ho scelto questa strada con molti leoni.

Così ho scoperto sguardi, occhi e toni di voce che hanno un valore inestimabile. Ho riscoperto l’amore per gli abbracci, veri caldi e sinceri, ma anche che un post può essere altamente tossico per me se non ha il condimento dell’intelligenza fina.

Proprio quell’intelligenza fina che caratterizza le persone REALI che mi circondano e che io, fortemente, PRETENDO.

Ergo:

Il resto è aria.

Clic.

Arresta sistema.

Spegnimento in corso.

Stefania

IL GUAIO DEL CHIAMARSI NINFEO

Quando ho deciso il nome del mio centro estetico non avevo certo idea dei guai a cui sarei andata incontro.

Tra me e me mi ero detta che chiamare il mio centro Il Ninfeo sarebbe stato come rendere unica la mia creatura. Le terme della città, evocazione dei bagni turchi romani, riti antichi, aggreganti. Un benessere che mi riportava indietro nel tempo, nella storia.
Invece mi sono complicata la vita.
Un incubo.

Per i primi due anni ho sentito chiamare Il Ninfeo nei modi più disparati.

La ninfa
Le ninfe
Ninfea
Ninfo
Ninfao
Ninf
Ninfeolo
Ninfee

Una tra le più bizzarre è certamente la signora che dopo sfiancanti ricerche sulla guida telefonica ( poteva cercare per anni…) entrava con aria scocciata dicendo “ Insomma ! Io il numero di telefono di questo Fauno proprio non l’ho trovato”. E certo che se cercava il Fauno era difficile arrivare al Ninfeo.

La mia fedele collaboratrice ricorda ancora il martedì mattina in cui suonò il telefono:
– Il Ninfeo buon giorno sono Alice!
Ecco si, adesso mi dica bene come vi chiamate che qua non c’è nessuno che sappia aiutarmi!
– certo signora, noi siamo Il Ninfeo
mmm, no no signorina, non si capisce , me lo ridica
– IL .NIN.FE.O.
oooooh! Signorina ! Me lo dica proprio lettera a lettera come M di Modena e R di Roma
{inizia lo spelling, comincio a guardare la povera Alice con occhi preoccupati}
no, signorina, anche così io non capisco. Oltretutto son qua in mezzo al mercato con la macchina e non riesco più ad andare nè avanti nè indietro!
( cacchio si è infilata dentro il mercato)
{ in lontananza fischio del vigile…}
senta signorina, adesso vedo di togliere la macchina da in mezzo alle bancarelle e proverò a cercarvi….
Sbuffo
Clic

Che dire? Se mai avrò un’altra attività la chiamerò Pelo e Contropelo. O magari Estetica Stefania , e chiusa la questione. Così magari non metto in crisi nessuno.
Oppure lo chiamo davvero Il Fauno.

Così quando mi cercheranno al telefono mi diranno: “è il Ninfeo?”
Ecco.


TI RICORDI LE COCORITE?

Per i miei nonni sardi D.O.C., negli anni in cui era concesso ( ora per fortuna non più ), l’uccisione del maialetto era NORMALE. Ed era pure normale macellarlo in casa. Scene che nemmeno Dario Argento immagina.

Un lavorìo infinito, perché si sa, del maiale non si butta niente.

Per mia nonna gli animali sono da sempre cibo e basta. Ai suoi occhi, una persona che ha animali in casa, me compresa, non è del tutto sana di mente.

Mia mamma, già trapiantata in Piemonte, ha assunto una linea un po’ più morbida, diciamo. Non li vuole tutti morti, ma insomma li tiene a debita distanza.

Siamo riuscite negli anni a farle accettare qualche gatto, giusto perché ritrovato a bordo strada in condizioni pietose, con scene da commozione forzata. Diversamente erano tutti banditi.

Ricordo la volta in cui sono andata con papà al mercato dei piccoli animali. Una sorta di gita proibita. Mi sono incantata di fronte a una gabbia piena di cocorite. Erano bellissime.

Credo di aver guardato papà con quegli occhi che solo i bambini sanno fare. Ciglia che sbattono e un muto ti prego.

Pensandoci oggi in veste di genitore, intuisco che lui abbia pensato che in qualche modo avrebbe dovuto giustificare l’acquisto. Qualcosa tipo un ” Ce la siamo trovata in macchina“, oppure “Le regalavano“. Una scusa qualunque.

Insomma, ha ceduto.

Scelgo la mia adorabile creatura. Cinquantasfumaturedigiallo. Meravigliosa.

Prima di metterla nella scatola, l’allevacocorite rigira il fagottino e con aria maliziosa ci dice: “È maschio… Vi do anche la femmina?”.

SATANA!

Altri occhi. Altre ciglia che sbattono. Altro ti prego.

Deglutendo vistosamente, papà ha detto sì.

Felicità!

Nella mia testa già mi immaginavo di invadere il mondo con migliaia di esemplari nati dalla mia splendida coppia di cocorite. La femmina poi, incredibile. Un azzurro indaco che ipnotizzava.

Io, papà, gabbia, cocorite e tutto il mega kit da allevatori che Satana potesse appiopparci torniamo a casa.

Su cosa sia successo quella sera tra i miei genitori ho fortunatamente un buco di memoria. O forse mio padre è riuscito a convincere mamma delle coincidenze relative all’acquisto.

Chissà.

Nell’arco di una settimana accade il miracolo.

Gravidanza!

La mia meravigliosa femmina gonfiava a vista d’occhio, al punto da non muoversi quasi più. Ci siamo! ho pensato. Preparo anche il nido e diamo il via alla moltiplicazione.

Quando alla domenica mia nonna viene a pranzo da noi, è la prima notizia che le do.

A parte la smorfia di disgusto di fronte alla gabbia, inizia a osservare la futura mamma con aria sospettosa, scuotendo un po’ la testa.

Non sta bene” sentenzia.

Ma come? Beh, magari essendo in uno stadio avanzato di gravidanza poteva anche starci. Ma che stesse male…

Ho pranzato fissando la nonna. La nonna pranzava fissando la cocorita.

Un thriller in cui mancava solo la musica.

Non immaginavo che di lì a poco sarebbe successo l’irreparabile.

Ricordo che nonna stava finendo di lavare i piatti, grembiule in vita e sguardo concentrato. Mette a scolare l’ultimo bicchiere, asciuga le mani, si avvicina alla gabbia e la apre.

Senza indugio acchiappa la povera Indaco e in un gesto solo, la affoga nel lavandino.

“Non stava bene” ripete.

Mioddio! La mia cocorita!

Pietrificazione istantanea e generale.

Papà mi fa uscire dalla cucina e mi consola con tutti i vocaboli a lui conosciuti. Mi spiega che in effetti la poveretta non si muoveva più. Che non bisognava farla soffrire. Che sicuramente era già mezza morta e non aveva sentito nulla.

Io in una valle di lacrime.

Mi calma un po’ , tanto che decidiamo di tornare in cucina.

Per l’ultimo saluto.

Apriamo la porta e troviamo mia nonna impalmata con i guanti da cucina. In una mano le forbici, nell’altra la cocorita aperta in due.

“Era un tumore”.

Nonna killer e autopsia in corso.

Inutile dire che la porta della cucina sia stata rapidamente richiusa.

Inutile dire che da quel momento nulla mi ha più spaventata.

Inutile dire che il primo elettrodomestico che ho comprato è stato una lavastoviglie.

Cocorite?

MAI

PIÙ

FAMIGLIA 2.016

Famiglia:

Istituzione fondamentale in ogni società umana, attraverso la quale la società stessa si riproduce e perpetua, sia sul piano biologico, sia su quello culturale. Le funzioni proprie della famiglia comprendono il soddisfacimento degli istinti sessuali e dell’affettività, la procreazione, l’allevamento, l’educazione e la socializzazione dei figli, la produzione e il consumo dei beni.

Ecco la definizione di Famiglia secondo la Treccani.

Ovviamente anacronistica.

La società moderna vede nascere oramai oltre al nucleo familiare classico la famiglia monoparentale, quella ricomposta e quella cosiddetta arcobaleno.

Piccolo schema.

Coppia tradizionale. Un figlio o due. I coraggiosi tre. Gli eroi quattro. Dai cinque in su ci fanno un reality su Sky. Vivono serenamente il loro matrimonio/ convivenza con la determinazione degli atleti : vogliono vincere. Cosa? La spilla wwf. Razza in estinzione. Sono da ammirare per la tenacia ed è per loro che sono state inventate le diciture ” nozze d’argento , d’oro o diamante”. Stima e profondo rispetto.

Famiglia monoparentale. I divorziati, separati o comunque genitori single. È uno ma valgono due, perché riescono a far tutto con la dotazione base, ovvero due braccia e due gambe.

Coppia ricomposta. Il termine evoca un po’ la raccolta differenziata, ma tant’è. Due adulti, mettono insieme i cocci di esperienze passate, più o meno disastrose, e tentano di darsi quella che noi donne siamo solite chiamare ” un’altra possibilità “. Si conoscono, in una vita già abbastanza complicata e decidono di aggiungere un delirio in più , consapevolmente. Uniscono armi bagagli figli e animali domestici e si riiscrivono alla gara ( vedi sopra). Dinamiche spesso non semplici, ma i figlioli a un certo punto crescono e se hanno avuto tutti quanti i nervi saldi al momento giusto, le soddisfazioni arrivano.

Famiglia arcobaleno. Ancora ( dico io, purtroppo ) poco diffusa. Due adulti omosessuali sfidano il mondo e vivono insieme. Se sono incredibilmente arditi e armati di titanica pazienza, mettono al mondo un figlio. Passano la vita a dare spiegazioni che non dovrebbero dare e combattono il pregiudizio. Insomma una vita non facile. Insigniti ad honorem del titolo di ” Liberi Veri”.

Né la Treccani né la società moderna parlano del quinto tipo di famiglia.

La mia.

Due sorelle, adulte, separate. Tentano per un po’ di reggere sul piedistallo della famiglia monoparentale, ma poi desistono. Dopo attente quanto rapidissime riflessioni, riuniscono le loro vite sotto uno stesso tetto. Risultato : due donne, quattro bambini e tre cani. Ovvero, un circo in pianta stabile.

La famiglia Croce vede la sua massima espressione al mattino, con tre quadrupedi da far uscire, quattro mini bipedi da svegliare, altrettante colazioni, tutte rigorosamente diverse, momento lavaggio e vestizione da Guinness dei Primati, e partenza per la scuola.

Questo nucleo trova il suo punto forte nella completa e totale condivisione dei momenti comuni ( pranzo cena e compiti) e nel mutuo soccorso, studiato con una pianificazione degna di un attacco terroristico.

Nel tempo di assenza dei bambini, causa scuola o pernottamenti dall’altro genitore, vige la più totale omertà. Sono concesse comunicazioni solo in caso di estremo disagio (stato di salute precaria, disperazione amorosa, frigo vuoto) o di reale necessità ( il garage è libero?).

La tipologia di Famiglia Croce pare destinata ad espandersi e suscita una crescente curiosità . Sembra che funzioni, ma si dichiara da subito fuori “concorso spilletta”, in quanto destinata, come da contratto, a sciogliersi.

Indico, per dovere di giusta cronaca, alcune sottocategorie di famiglia, non tanto per importanza, quanto per poco studio sociologico. Sono infatti famiglie con “pochi ” problemi, data la quasi assenza di elementi interferenti ( suocere a parte).

Famiglia composta da adulto singolo convivente con i propri sacrosanti interessi.

Famiglia di singolo con animale domestico ( uno qualunque).

Famiglia fatta da coppia senza figli ne animali, in condivisione o no dello stesso tetto, con un book fotografico vacanze da far invidia a Franco Rosso.

Famiglia in coppia con animale domestico, quest’ultimo parecchio felice in quanto trattato meglio di un figlio.

Invito chiunque ad arricchire la lista. Sia mai che si riesca ad aggiornare i vocabolari, alla faccia di Family e Fertility Day.

STORIE DI SUGGESTIONI E ALTRI MOSTRI MITOLOGICI.

Oggi guidavo tornando a casa.

Finché il clima non diventa polare, ho l’abitudine di stare a finestrini abbassati, da quando parto a quando arrivo.

Come sempre succede, ho appoggiato il gomito sulla portiera, allungato il braccio e aperto la mano. È una cosa che faccio sempre, soprattutto da passeggera. Sentire l’aria che mi spinge la mano all’indietro, chiuderla un po’ e …. sfidare mia madre. 

Già.

La mano fuori dal finestrino è la mia grande ribellione contro il dogma materno.

Lo facevo da piccola ( come tutti i piccoli), aumentando pian piano il rischio. Partivo mettendo fuori solo le dita, poi tutto il braccio, poi la testa. Il culmine dell’esaltazione arrivava nell’urlare a tutta forza con mezzo busto fuori dalla macchina.

Comprensibilmente, a quel punto, non solo mia madre si accorgeva delle acrobazie ma, anche calcolando che ai tempi la cintura la usavamo forse giusto in autostrada, iniziava a inveire.

“Se passava un camion ti tranciava in due! Ma cosa vuoi? Morire?“.

Con uno scatto felino tornavo al mio posto.

Fissavo il sedile davanti, immaginando mezza me appiccicata al muso di un tir.

Ci sono voluti anni per realizzare che un sorpasso a destra di un mezzo bambinotranciante era comunque altamente improbabile.

Ho sempre creduto a tutto.

Anche al chewing-gum che una volta ingoiato diventava una gigantesca bolla nello stomaco.

Guai se lo ingoi”.

Ancora oggi, le rare volte che mi succede di buttarne giù uno per sbaglio, ho quella lieve sensazione di malessere. Dura trenta secondi, ma comunque devo un po’ ripetermelo che non ho nessuna bolla in pancia.

La mia radice materna è sarda. E i miei nonni, con cui sono cresciuta, non andavano troppo per il sottile nello spiegare le cose a noi nipoti.

“Continua a bere tutta quell’acqua e ti riempirai di rane“.

Tra bolle e rane, il mio corpo era decisamente affollato da bambina, senza contare le volte in cui disgraziatamente avvicinavo le mani alla bocca senza averle lavate, ed erano in agguato i vermi.

Mia sorella invece fin da piccola mangiava le unghie. Il guaio li era che le avrebbero trafitto le budella con danni irreparabili.

“Nonna ho fame”

E giù a raccontarmi di quel bambino che a forza di mangiare era SCOPPIATO.

“Nonna sono stanca”

Sarei diventata un materasso.

Ricordo che la nonna ci portava al mare d’estate. Eravamo i primi ad arrivare al mattino e gli ultimi ad andare via. Ci stavamo tre mesi ( che inconsapevoli anni beati…) e quindi uno stabilimento era troppo oneroso. Nonna ci portava nella spiaggia libera, senza ombrellone e con il sole allo zenit.

Partivamo con alimenti per sfamare tutta la riviera. Il pranzo era decisamente consistente così iniziava il dannatissimo conto alla rovescia per fare il bagno : due ore e mezza.

Per la nonna erano tassative. Si guardava l’orologio appena ingoiato l’ultimo boccone e da lì sentenziava : farete il bagno alle quattro e mezza.

Quelle due ore e mezza erano l’inferno. Ottantasette gradi all’ombra ( e ombra non ne avevamo) e nulla da poter fare, tranne tentare di sopravvivere al caldo. Non venivano scontati nemmeno cinque minuti. E ovviamente c’era un motivo: morivi.

Nonna non parlava di congestioni, malori, dolori al ventre. Per il bagno pre tempore c’era solo la morte. E mentre lo rispiegava per l’ennesima volta, passava puntualmente un’ambulanza a sirene spiegate sul lungo mare. E stava proprio trasportando un bambino che non aveva aspettato di digerire, ed era morto in mare.

Coincidenze incredibili. Me lo vedevo il poveretto. Tre passi in acqua, e giù stecchito.

Nella casa del mare dovevamo muoverci come dei ninja. Silenzio! diceva, o arriva il Maresciallo. Il Maresciallo era per me un essere mitologico, forse con tre teste e sei occhi. Probabilmente non aveva gambe ma strisciava, perché nessuno lo aveva mai sentito. Dormiva sempre ( sicuramente era diventato anche lui un materasso a un certo punto) e aveva una moglie a cui non piaceva scherzare. Anche la storia del Maresciallo è andata avanti anni, fino a scoprire che sotto casa, in realtà c’era un garage.

Potenza della suggestione.

Antica però.

Infatti un giorno rimproveravo mio figlio per qualcosa, e per dare autorevolissimo tono al mio rimbrotto, ho replicato la frase che tanto mi pietrificava da piccola : mi toccherà metterti la testa in mezzo alle orecchie!

Lui mi ha guardata, perplesso.

“Mamma , è già li”.

Ecco.

SILENZIO PREGO. 

Hai mai conosciuto un mostro ? No. Non parlo del branco. Dei violentatori. Delle bestie.

Parlo di lei. La vittima.

Mostro?

Sì. Proprio così. L’hai mai conosciuta una Mostro? Io sì. Per questo voglio spiegarti un paio di cose.

Una donna violentata é un mostro perché uno o più pazzi l’hanno fatta a pezzi. La violenza sessuale, a qualunque livello , strappa prima l’anima, poi il cuore, poi il cervello. Nei casi più gravi anche gambe e braccia, tanto da renderla paralizzata.

La donna in questione se può cerca aiuto, ma tante volte per pudore timore vergogna fa da sola. Si ricompone e diventa una Mostro.

Mette un piede al posto di una mano e non sa più accarezzare. Una gamba al posto di un braccio e non sa più abbracciare. Il cuore nella testa e la testa nel cuore. E l’anima ? L’anima la seppellisce. Magari tutta la vita.

La Mostro fortunata trova un uomo a cui raccontarsi.

Le reazioni sono due. Lui capisce e empatizza così tanto da riuscire a vederla normo dotata. La aiuta via via a mettere a posto qualche pezzo e se è Falcor della storia infinita trova anche l’anima seppellita.

Oppure.

Parte con invettive di ogni tipo, vuole uccidere lo stupratore, o peggio parlargli per leggere la verità e l’imbarazzo nei suoi occhi, salvare la bella, farle cambiare città e mille altre improbabili peripezie. Salvo poi alla prima discussione darle della psicopatica e dell’irrisolta.

Quello che i più non sanno della Mostro è che a lei di tutto questo non importa nulla.

Se mette in mano una verità così terribile è solo per avvisare che tipo di mina esplosiva si abbia tra le mani. Al fortunato viene però anche consegnata una cassaforte e tutta l’artiglieria degli artificieri al completo.

Una Mostro infatti quando ne parla è già oltre. Così /oltre\ che quando sente “pena di morte” o “castrazione ” o “li prendiamo di notte” , sorride.

Nessuno stupratore sopravvive. Non dico alla vita. Dico alla propria coscienza. Può tentare, come fa la Mostro, ma la sua notte è lunga e buia.

La Mostro risorge. Rinasce. Mille volte. Ha addosso una corazza così forte che mai più qualcosa o qualcuno potranno farle quel male li.

Ha tutto da ricostruire è vero, ma non può che essere meglio.

Va accudita un po di più. Io dico che va “addomesticata”. Perché ha da reimparare due cose fondamentali: la fiducia e l’amore. Nel farlo dà tutto, ed è così impegnata a provarci che tutte le chiacchiere sull’argomento non hanno valore.

Solo due persone hanno diritto di parlare. Chi le ama, e le Mostro.

Chi le ama ha già tanto da fare.

Le Mostro non hanno più nulla da dire.

Dunque. Fate la cortesia.

State zitti.

UNA STORIA SILENZIOSA

Si sono sposati stamattina. Lei 60, lui 71 anni.

Laura è la mia dirimpettaia da sempre. La sera, dopo che io metto a letto i bambini e lei ha finito di rassettare la cucina, ci affacciamo al balcone per una sigaretta e chiacchieriamo. Qui da me, nel centro storico, è quasi prassi. Il vicinato lo conosci e lo vivi. E non hai bisogno di whatsapp perché hai il balcone o la strada.

Laura mi parla sempre di “lui”. LUI non ha un nome. Non l’ho mai saputo e mai oserei chiedere. Non ha nemmeno un volto, tanto che mi è capitato spesso di pensare che Laura lo avesse inventato come fanno i bambini con gli amici immaginari.

LUI ha sempre vissuto in un’altra casa, chissà dove e chissà perché. In questo ménage misterioso non ci sono figli, nonostante stiano insieme da vent’anni, perché loro amano i gatti. Laura ha sempre un gatto che le struscia le caviglie mentre parliamo al balcone.

Dopo tanto tempo hanno deciso che forse la loro vita da pendolari amorosi poteva finire. Laura la vedevo partire la sera col borsone e un borsellino piccolo. Nel mio immaginario portava via un paio di cambi e spazzolino e dentifricio. Una donna con coraggio. Se per vent’anni riesci a non invadere uno spazio nemmeno con lo spazzolino hai tutta la mia ammirazione.

LUI è andato in pensione l’anno scorso. Da qui la decisione di aiutare lei nell’ingrandire un po’ la casa e “fare spazio” a nuovi mobili.

Avviene il trasloco. Credo di notte. Nessuno si è accorto di nulla. Solo lei la sera, nella nostra pausa, mi comunicava l’avanzamento lavori. I muratori hanno quasi finito…la tinta è quasi asciutta…ho la cucina piena di polvere…sta portando qua tutti i libri…non trovo più niente !

Dopo una vita da finta single, l’arrivo di un uomo come LUI deve essere stato un cataclisma.

Me li immaginavo finalmente insieme. Lei a finire di sistemare la cucina e LUI sul divano con qualche librone aperto sulle ginocchia. Chissà che faccia ha…

Avranno parlato e fatte le dovute considerazioni, tant’è che un mese fa, con una mano sulla fronte e il sorriso imbarazzato mi dice “ci sposiamo”.

Ho avuto un tuffo al cuore. La mia Laura si sposa!

Per l’occasione hanno passato la notte divisi, come fidanzati di altri tempi. Ieri sera di sigarette ne abbiamo fumate due. Nervosa Laura. Preoccupatissima di risultare patetica.

Le ho espresso la mia stima. Per me oggi hanno compiuto il passo migliore: il suggello di un amore consapevole e adulto. Quaranta invitati, un pranzo semplice e una serata di festa. Forse dovrebbe essere proprio così.

Un amore senza chiasso. Un matrimonio pensato e voluto. La celebrazione in festa vera.

Stasera sul balcone sarò da sola ma avrò la compagnia di una giornata tutta da immaginare, in attesa che me la racconti lei.

Buon viaggio Laura. Ti voglio bene. E oggi, col cuore, ti invidio un po’.