SINTONIA
Dal greco συντονία, accordo di suoni, composto di σύν , con, e τόνος , tono.
Armonia. Corrispondenza. Coerenza.
Quando non hai nulla da spiegare. Perché la frequenza è perfetta.
SINTONIA
Dal greco συντονία, accordo di suoni, composto di σύν , con, e τόνος , tono.
Armonia. Corrispondenza. Coerenza.
Quando non hai nulla da spiegare. Perché la frequenza è perfetta.
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure […] ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. […] L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario […] quando , data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
Legge 194 , art. 9
Valentina Milluzzo
Trentadue anni
Catania
2016
Muore insieme ai gemelli che portava in grembo e la sua famiglia si appella a una legge che è più vecchia di lei.
Quarant’anni fa l’Italia dà spazio a quei medici che per i più svariati motivi decidono di anteporre la propria coscienza/morale alla prestazione sanitaria. E nel reparto in questione , da quanto si può leggere sugli organi di stampa, operano esclusivamente medici obiettori.
Valentina ha potuto iniziare la sua gravidanza, tragicamente conclusasi a diciannove settimane di gestazione, dopo una fecondazione artificiale.
Chiunque sia entrato in contatto con l’argomento sa cosa significhi. Per una donna è un percorso spesso lungo, difficile, moralmente e fisicamente impegnativo. Una donna che si sottopone a questi trattamenti ha necessità di aiuti particolari e un desiderio di maternità spesso doppio rispetto a chi ha la grande fortuna di riuscire a concepire in modo naturale.
Affrontare una fecondazione può essere devastante soprattutto a livello psicologico. Ogni trattamento che fallisce è un lutto, che arriva dopo punture, pastiglie, riposo forzato, ecografie, test. È una battaglia tra natura, scienza e amore. Tre aspetti molto distanti tra loro che cercano di convergere nella realizzazione di un desiderio primordiale.
Valentina non voleva abortire.
Valentina portava nella pancia il suo sogno di mamma. E nonostante avesse superato il trimestre critico, la situazione è degenerata. La natura ha innescato spontaneamente il viaggio di non ritorno dei gemelli, decidendo che quella gravidanza non dovesse essere.
E questo è il punto.
Può un medico, obiettore, lasciare una donna in evidente pericolo per non agevolare un aborto già in atto, e sottrarsi così al suo primario compito, ossia salvare una vita umana?
Valentina è morta di aborto spontaneo. In un ospedale. Nel duemila sedici.
Una gravidanza con sofferenza fetale è più importante della donna che l’ha in grembo? Meglio perdere tre vite, due delle quali già destinate al trapasso, anziché tentare di salvarne una?
Valentina non voleva abortire.
Ma non voleva nemmeno morire. E la coscienza di quei medici ha calpestato il suo diritto a vivere.
“L’obiezione di coscienza non può essere invocata quando l’intervento è indispensabile per salvare la vita della donna “.
Sarebbe questa la coscienza? O forse a forza di obiettare non sono più capaci a fare i medici? Ma soprattutto, nel pieno rispetto del loro credo, quei dottori non avrebbero forse dovuto chiamare un collega che assistesse quella povera ragazza al posto loro? Magari salvandole la vita? Anche perché se una struttura ospedaliera garantisce questo tipo di interventi, ha il dovere di mettere a disposizione delle donne qualcuno che si prenda il carico di queste situazioni.
Sono passati quarant’anni dall’entrata in vigore della legge e noi siamo indietro di cento. Più che “obiezione di coscienza ” io spero che questi medici facciano un “esame di coscienza”.
Siamo donne, non animali.
Cerchiamo di avere bambini. Con sforzi enormi.
E se le cose non vanno abbiamo il diritto di essere aiutate.
Abbiamo bisogno di medici.
Non di obiezioni.
Pensavo.
Nella prossima vita…
Ci incontriamo un po’ prima?
“Sembra facile mettersi davanti a una tastiera ( con una penna resterei bloccato totalmente) per scrivere a una figlia che ha deciso di tagliare definitivamente il cordone ombelicale. Molto più facile a dirsi che a farsi.
La prima cosa, ovvia, è che ti voglio un gran bene, tanto bene, tantissimo, e anche tu me ne vuoi, tanto.
Lo so…
Mi preoccupo per te, sempre.
Inconsciamente ti vorrei moglie e madre ( con fortissimi dubbi sul ruolo di nonno).
Ti vorrei al sicuro…
Ancora oggi, sono combattuto tra il il dirti di fare quello che IO ti dico, e il lasciarti fare quello che TU dici. Anche se, fortunatamente, ti ho sempre lasciata libera di decidere.
Sono stati tanti i motivi di rancore e di rabbia verso di me e verso mamma, e capisco che tu abbia dovuto difendere la tua personalità dalla nostra, così forte, ma anche difenderti dal nostro affetto, così grande.
Ti vogliamo così bene che avremmo voluto proteggerti in eterno.
Ma è naturale che, prima o poi, il legame tra genitori e figli si spezzi, e dovevi staccarti anche tu. È stato faticoso e ancora sono così legato a te che cerco di mostrarmi il più distaccato possibile. Ma l’affetto che ci lega esiste e prescinde dalle scelte di vita intraprese.
Cara Figlia, spero di averti dato quello che credo sia la migliore eredità che si possa dare: io credo che tu possa dire “mi piaccio, mi piace il mio modo di essere e di pensare”.
Questo, almeno in parte, lo devi a noi.
Speriamo di averti educata bene, soprattutto rispettando il prossimo.
Ho cercato di starti vicino, molte volte ( me ne rendo conto) in maniera troppo silenziosa, ma ho fatto del mio meglio. Non avevo grandi esempi da seguire.
Però… ho sofferto con te durante le tue attività sportive, sono stato fiero di te e dei tuoi successi, e delle volte in cui non hai avuto successo!
Spero che ti serviranno i NO che ti abbiamo imposto, le scelte che hai fatto liberamente, l’essere cresciuta senza avere tutto.
Spero che ti servirà l’averti trasmesso il piacere della lettura.
E c’è un’ultima cosa che, tanto lo so, non ti dirò mai a voce. Ti voglio bene.
TI VOGLIO TANTO BENE!
Ecco. L’ho scritto a voce alta!
Papà ”
Dopo tanti anni ho ritrovato per caso questa lettera del babbo.
Stavo andando via di casa, per costruire la mia vita.
Lo conosco, e so quanto sarà stato impegnativo mettere insieme queste parole.
È stato un bel tuffo al cuore. Lo ringrazio per ogni virgola scritta, e per avermi autorizzata a condividerla qui.
Oggi pomeriggio la mia città ha celebrato il primo matrimonio omosessuale. Gioisco.
A Cuneo sembra che il tempo per tante cose sia un po’ ingessato, ma alla fine, qualcosa muove.
Orgogliosa di questo importante traguardo cittadino appreso dal web, mi accingo a sfogliare il giornale.
Dalla prima pagina de La Stampa, balzo in nona. E dal progresso finisco in epoca preistorica.
“Bagni separati per bambini migranti”.
Leggo l’articolo con nausea in crescita.
La notizia arriva dalla Sardegna che tanto amo, terra generosa e ospitale, con un popolo di grande cuore. Che succede?
Nulla di nuovo.
Razzismo.
Fatico a credere che si possa arrivare a certi livelli, colpendo addirittura i bambini. Qual è stato il problema ? Due bimbi, uno egiziano e uno etiope, di nove e undici anni, arrivano in Italia salvati da una nave militare.
Soli.
Presi sotto l’ala degli assistenti sociali che gli trovano casa in una comunità, a settembre vengono inseriti a scuola. Quinta elementare.
Sembra quasi commovente. Invece no. Scatta la rabbia.
Assemblee infuocatissime da parte dei genitori cagliaritani, richiesta di certificati medici che indichino la buona salute dei nuovi arrivati, dubbi sull’età effettiva dei due bimbi, tanto da far richiedere che vengano mandati in bagni separati. Pare che due famiglie, in un gesto di estrema ribellione, abbiano addirittura deciso di cambiare scuola ai propri figli.
Al di là della risposta imbarazzata di Suor Redenta, maestra nella scuola in questione, che borbotta un ” i bambini forse [nei bagni] si sono separati volontariamente”, è evidente che il problema sia mio.
Ho sempre pensato infatti che i bambini siano tutti uguali.
Invece no.
A Cagliari, in questo quartierino bene, i bambini sono diversi.
Hanno innanzitutto il pedigree e vantano sicuramente origini tanto nordiche da sentirsi autorizzati dalla propria genealogia a essere diffidenti verso il diversamente bambino.
Godono di ottima salute e non si ammalano mai. Grazie alle influenze marine con correnti ammazza microbi che entrano direttamente nelle loro camerette, hanno sviluppato un sistema immunitario pari a una corazza. L’unico tallone d’Achille è rappresentato dalle malattie extra- quartiere, che effettivamente li mettono a grave rischio.
Sono bambini serissimi, che mai e poi mai incrocerebbero le pipì nel wc e non farebbero nemmeno gare di misure sghignazzando nei bagni. Vanno ad espletare i propri bisogni per fasce di età, sesso e reddito.
I bambini del quartierino cagliaritano sono così speciali da avere anche genitori speciali, che li inseriscono in scuole ( speciali ) gestite da religiose, con la precisa raccomandazione di imparare bene tutto a memoria, la fratellanza in primis, ma di resettare ogni nozione alla prima avvisaglia di pericolo.
Sono super genitori, perché riescono a farli crescere con un’elasticità mentale incredibile. Per esempio : i nuovi compagni con la pelle scura sono da ostracizzare, ma se mai si iscrivesse lì la figlia di Obama, il suo colorito sarebbe bellissimo. È così che questi bimbi diventano poi adulti che indossano la maglia D&G, disegnata da due stilisti molto bravi e creativi, ben diversi dai vicini di casa maschi della porta a fianco che invece sono due sporcaccioni.
Ecco tutto spiegato.
Ora capisco la mamma intervistata che dice ” non ci sentiamo sicuri”.
Il pericolo è grosso, e potrebbe sfociare in una contaminazione culturale. Perché si sa, gli stranieri imparano in fretta. I due bimbi ora non parlano italiano, ma appena succederà , chissà cosa potrebbero raccontare.
Sia mai che parlino della loro storia e della loro terra, e che insinuino nella testolina dei piccoli sardi la voglia di sapere, di scoprire, di conoscere, di domandare, o addirittura di viaggiare.
Il problema è davvero mio, che non mi metto in testa che i bambini non sono tutti uguali. Ci sono quelli fortunati, con genitori che gli insegnano cosa sia la condivisione, l’amore per la vita e la scoperta, la sete di conoscenza, lo stupore e la meraviglia per il nuovo. E poi ci sono quelli sfigati, con genitori che gli infilano il razzismo già nel biberon, e avranno una vita difficile e tortuosa. Perché il mondo fortunatamente è sempre più fuori dal quartierino e va a una velocità tripla rispetto ai microbi. Avranno forse salvezza studiando, leggendo e facendo magari anche la valigia.
Gli auguro, nella terra della loro rinascita, di non incontrare genitori simili ai propri. Se no, sarà davvero durissima.