PUNTUALMENTE, IN RITARDO.

Non so voi, ma io continuo a sentirmi indietro di qualche passo.

Da questo fermo amministrativo alla vita, da questi tre mesi assurdi, fatico a riprendermi.

Credo che il primo ritardo sia iniziato la prima settimana di lock down.

Giorno uno: esplosione della caffettiera. Per una come me, che il caffè lo inietta in vena circa novanta volte al giorno, è stata una frustata in faccia.

Nello scoprire che le caffettiere non sono bene primario e che quindi non avrei potuto acquistarne un’altra, ho provato qualunque tipo di surrogato: caffè solubile, orzo, terra del giardino.

Nulla di buono. Il caffè è caffè, punto.

Credo che il mio ritardo sia iniziato così, con l’astinenza da caffeina.

La gente cantava sui balconi alle 18, e io ancora stendevo i panni.

La vicina di buon mattino impastava le fettuccine e io cercavo il senso della giornata.

Il mondo dormiva, io ero sveglia.

Mentre tutti trovavano fantastiche occupazioni e gioivano per questa ritrovata felicità casalinga, io rincorrevo giorni sempre uguali in cui mi sentivo letteralmente in gabbia.

Credo che casa mia abbia a un certo punto assunto le sembianze della puntata sette di “sepolti vivi”.

Il mio “io” ordinato era ovviamente in ritardo e ha lasciato rapidamente il posto alla quindicenne ribelle che appoggia tutto dove capita e “ci penso dopo”.

Salvo poi svegliarmi compulsiva, una mattina qualunque, e riordinare tutto come Marie Kondo.

Ditemi che non sono la sola… per favore …

Il primo giorno in cui mi sono seriamente guardata allo specchio ho capito che le settimane stavano inesorabilmente passando.

Capelli bianchi in prima linea, il degrado reso donna.

Ve lo ricordate come si sta senza parrucchiera e senza estetista?

Alla prossima pandemia lo specifichiamo a Conte che sono un bene primario?

Che piuttosto ci faccia sparire il detersivo, ma lasci aperti i centri bellezza! O no?

Ve li ricordate i baffi sino alle ginocchia?

Le ascelle di Tarzan?

La cofana in testa?

Ecco…

Tutto questo insieme al ruolo di casalinga, alla tuta-pigiama permanente e alla didattica a distanza: fonte di esaurimento quotidiano.

La didattica a distanza … vogliamo parlarne?

Almeno due lezioni alla volta, un solo computer. Ed è subito discussione tra fratelli.

Passava una nuvola, morta la connessione.

Entravano nell’aula virtuale e dopo dieci minuti venivano espulsi non si sa perché.

L’adolescenza scorbutica ha toccato vette altissime.

Parliamo di “CLASSE VIVA”?

Era viva veramente, mi sembrava un luogo nuovo ogni giorno, con i compiti che si mescolavano in ordine sparso. Cercavo aprile, usciva marzo, cliccavo matematica e si apriva il link, che rimandava al video, che conteneva la password per il quiz, che andava inviato via mail. Santocielo che fatica!

Le password …

Ne avremo create una cinquantina di nuove. Il mio frigo era tappezzato di promemoria, ma tanto anche quelle si rimescolavano in completa autonomia.

Io odio le password. Da quel momento, ancora di più.

Le lezioni delle elementari?

Sentivo il buongiorno della maestra e poi partivano le voci di tutti i compagni di mio figlio CONTEMPORANEAMENTE : maestra guarda il mio gatto! Maestra mia mamma qui ti saluta! Maestra guarda questo braccio che mi prude! Maestra hai visto la mia maglia?

Dopo un’ora era la stessa nausea del post montagne russe.

A settembre rivoglio la scuola.

Fate cosa volete, io rivoglio la scuola VERA.

Non “viva”.

E sono pronta a incatenarmi in piazza come Sandra Milo, urlando Ciro! Ciro! Oddio la scuola di Ciro!

Giuro che lo faccio.

Il ritardo mi è rimasto addosso.

Non so voi ma io ho perso il ritmo. Hanno riaperto i bar e non riesco a ritrovare nemmeno il vecchio tempo della colazione.

Sto dando la colpa persino al traffico. Mi sembra peggiorato, come se la gente non sapesse più guidare.

A me le strade vuote non dispiacevano affatto…

Sarà la folla di persone in giro? Non vi pare che siamo più di prima?

Osservo ciò che mi succede intorno e mi sembra pure che ci si sia incattiviti un po’.

Quelli degli arcobaleni e delle canzoni sul balcone dove sono finiti? In vacanza?

Non lo so.

Avrò tempo per capire questo nuovo mondo e di riappaiarmi con il giusto tempo.

Forse.

L’unica cosa che spero non passi, almeno non del tutto, è questa strana veglia notturna. Perché tante notti vi ho osservati dormire, amori della mia vita, e ed è stato bellissimo.

Che poi forse è il senso di questo gigantesco singhiozzo temporale:

fermarsi, osservare, amare.

Dicesi: vita.

MANUALE DI SOPRAVVIVENZA per donne disperate.

Donne!

Abbiamo 21 giorni da organizzare!

Ci vorrà molta pazienza.

Molta.

Molta.

Molta.

Per questo ho pensato di darvi alcuni spunti per arrivare al giorno 22 senza pendenze penali.

1 • Pettinarsi accuratamente i baffi. Estetiste chiuse, baffi ad altezza sterno. Debitamente acconciati, saranno piacevoli.

Tempo previsto : 30 minuti al giorno.

2 • Imparare a mettersi l’eye liner.

Prima di andare in ufficio è il peggior incubo, perché a metà opera sei nera anche sugli zigomi. Questione di esercizio. Obbiettivo raggiunto con : 1 ora al giorno.

3 • Mettersi lo smalto e riuscire finalmente a farlo asciugare.

Non hai scarpe da mettere, cappotti da infilare. Una volta lavati i piatti hai tutto il tempo necessario.

Tempo medio: 2 pomeriggi a settimana.

4 • Farti la maschera viso senza paura che qualcuno suoni alla porta.

Alleluia! nessuno vuole entrare in casa tua e puoi mascherarti come il Grinch in totale serenità.

Tempo previsto: 30 minuti, due volte a settimana.

5 • Districare i peli delle tue gambe con la spazzola del gatto.

Le piscine sono chiuse, stiamo in tuta da mattina a sera, crescita incolta, accarezzamento stile pet therapy. Una cosa è certa: tuo marito non sbufferà più per i continui appuntamenti al salone di bellezza.

Tempo consigliato: 1 ora al giorno.

6 • Trovare acconciature che camuffino la ricrescita dei capelli bianchi.

A disposizione su YouTube specifici tutorial di Moira Orfei.

Tempo previsto: 2 ore al giorno con pianto incluso.

7 • Togliere i punti neri a tuo figlio adolescente.

È talmente stordito dal non poter uscire, che sarà persino docile.

Sessioni consigliate: 2 a settimana da 30 minuti circa.

8 • Osservarsi attentamente allo specchio e scoprire che oltre ai baffi, sta spuntando la barba.

La sessione è in tre tempi.

Prima fase: 30 minuti di panico disperato. Seconda fase: corrompere l’estetista con sms minacciosi, foto con zoom e messaggi vocali, per altri 30 minuti. Terza fase: accettazione, rassegnazione e “tanto non mi vede nessuno”. Ripetere 5 volte per 20 minuti a giorni alterni.

9 • Piegare tutto, lavare tutto, stirare tutto, fare torte, marmellate e arrosti, parlare con la lavatrice, ballare col ferro da stiro, usare i mestoli come microfoni per cantare, leggere i dieci libri che hai comprato, imparare il russo, russare al pomeriggio.

A scelta, ogni giorno, due ore, mattina o pomeriggio.

10 • Spiegare con calma a tuo marito cosa volevi dire ogni singola volta in cui ti ha chiesto cos’hai? e tu hai risposto “niente”. Qui è necessario che lui abbia a disposizione un divano e acqua fresca per idratarsi, e tu uno spazio sufficiente per camminare avanti e indietro gesticolando. Mi baso sui tempi minimi, perché valuto l’energia che ti serve e le mezz’ore in cui lui si addormenterà.

Tempo medio previsto: otto giorni.

Ok.

Direi che è un’ottima partenza.

Calcolando che dobbiamo anche lavarci, mangiare e dormire, direi che questi 21 giorni voleranno.

Fatemi sapere.

DAMMI UN SENSO(RE)

Dobbiamo mettere il sensore al seggiolino, noi mamme che dimentichiamo i figli in auto.

Capita a tutte, anche ai papà, solo che quasi sempre il cervello si accende e non succede davvero.

Da oggi, se non si accende, ci pensa l’App e ti allerta lei.

Sarà il sensore giusto quello del seggiolino?

Perché oggi, io madre, avrei bisogno del sensore del malditesta. Mi serve l’App che mi dica piantala! e prendi una pastiglia. Perché sopporti?

Ne vorrei forse uno generico. Titolo dell’App dedicata: malattia. Dovrebbe dirmi fermati! stai a casa, metti la tuta, lanciati sul divano e dormi. Invece no, vado a lavorare lo stesso.

Vorrei il sensore del cibo. Che controlli quando digiuno perché non ho tempo, perché sono arrabbiata, perché la giornata è storta. Che suoni due volte quando apro il frigo e mangio anche i ripiani in vetro perché al diavolo la dieta e vaffanculo al capo.

Vorrei un campanello per lo stress. Livello limite, pericolo, stai lontana dai coltelli.

Vorrei il sensore del sorriso che si connetta direttamente allo specchio, per ricordarmi che quando lo indosso sono più bella.

Vorrei essere avvisata che è ora di far la spesa prima che sia ora di cena, per non impazzire ad inventare qualcosa.

Inventate per me ad un’applicazione per gli incastri, che mi dica dove passare con l’auto per essere contemporaneamente a scuola, in ufficio e in riunione.

Che mi ricordi di ricordarmi di me, dei miei capelli, dei miei vestiti, dello smalto, del mio corpo. Perché non sono come l’auto che col lavaggio super in cinque minuti è nuova. Ho bisogno di tempo. E lo dedico tutto agli altri.

Suona per favore il giorno della recita, proprio a Natale, mentre il lavoro mi succhia l’anima e arrivo sicuramente in ritardo.

Allertami in caso di malinconia acuta. Capita spesso, e in quei momenti non vedo e non sento nessuno. Forse nemmeno una tromba nell’orecchio.

Suona forte ogni volta che trattengo le lacrime perché tra un milione di cose che faccio, ne sbaglio una e crolla il mondo. Voglio l’App del pianto libero.

Ma anche del sonno duro. Senza sogni. Senza sveglia. Senza chiamate notturne. Senza pensieri fissi.

Inventatemi il sensore mamma di merda. Quando esagero parta pure una scossetta nella chiappa, così rassodo anche il sedere, che per la palestra non ho tempo.

Voglio il sensore della terza mano. Se faccio troppe cose tutte insieme sino a desiderare di aver anche la quarta, scatti una sonora risata. La sentano anche i vicini, così mi do una calmata subito.

Vorrei il sensore pazienza. È complicato perché deve funzionare sia quando ne sto mettendo troppa, sia quando la perdo in fretta.

E per la sopravvivenza di tutti i giorni, chiedo il sensore per gli stronzi, quello per i bugiardi, e quello per i razzisti. Che sia una sirena da stadio, così che non mi ci avvicini oltre la distanza di sicurezza.

Tagliamo la testa al toro. Inventiamo il sensore stanchezza. Deve suonare fortissimo e fermare questo mondo matto.

Che per dare un senso alla dimenticanza mostruosa di madri e padri che vivono dentro a frullatori, viene messo in un seggiolino.

E ci pensa l’App del telefono.

Quel telefono che ora lancerei dalla finestra, insieme alle settemilacose che ho ancora da fare.

E fuori è buio da un po’.

LA SPESA AL SUPERMERCATO. Ovvero, la disfatta delle donne.

Oggi è successa una di quelle cose che non succedono mai : avevo tempo.

I ragazzi all’allenamento di calcio e io fuori dal lavoro.

Perfetto : vado a fare la spesa.

Normalmente incastro il mio giro al supermercato tra un impegno e l’altro. Praticamente metto la moneta nel carrello, indosso i pattini a rotelle e mi lancio in un vortice di acquisti che dura al massimo venti minuti.

Io al supermercato ho la concentrazione di un chirurgo. Poche mosse, massima resa. Non si può sbagliare.

Oggi no.

Oggi avevo tempo.

Così, con tutta calma, ho fatto il mio ingresso tra gli scaffali con la grandiosa idea di fare la spesa da tranquilla.

Ero così tanto serena da non aver nemmeno necessità di asfaltare i due signori davanti a me, dotati evidentemente del mio stesso tempo da perdere.

Li ho osservati sino alla fine. E la mia conclusione è che al supermercato vincono gli uomini.

Non c’è storia.

Allora.

Intanto i maschi si dividono in due categorie.

Gli uomini scatola e gli uomini carrello.

Se hanno la scatola, fanno la spesa da soli. Se hanno la moglie, hanno anche il carrello. È matematico.

La faccenda comunque cambia poco. Che abbiano a disposizione la micro scatola dei kinder o il cesto di una mongolfiera, il loro ordine è TOTALE.

No, ma, fateci caso!

Le cose alte tutte insieme, dietro. Cibo morbido, da una parte. Detersivi, dall’altra. Ma soprattutto : nessuno spazio lasciato al caso.

Credo sia per questo che i ragazzini son matti per il Tetris. È l’allenamento per la spesa da adulti.

Se io guardo il mio carrello, beh… insomma. Ho ampio margine di miglioramento. Butto tutto dentro, come capita, capita. Nessun ordine logico, se non per le uova che mi danno sempre una certa ansia.

Tra gli scaffali io sono la cliente ottimale. Vedo solo ciò che sta ad altezza occhi. Così compro esattamente ciò che “vuole”il supermercato.

Un uomo non cade mai in questo tranello. Lui scannerizza ogni corsia, e trova cose che io non vedrei nemmeno con dieci giri del circuito.

E poi

I prezzi.

“Laura, vedi un po’ quanto costano al chilo?”

Al chilo??? Eh???

L’uomo sa !

Il prezzo !

Al chilo !

Pazzesco.

Per me esiste la pasta. Per loro esiste la pasta che è di una qualità tot e che costa un tot al chilo e quindi conviene.

Un altro pianeta.

“Laura, non prendere quel pacco lì, che su quell’altro c’è l’offerta“.

Eh?

Ma certo! Perché hanno l’app. E leggono il volantino ( che io invece butto all’istante). E alzano gli occhi e vedono i cartelli arancioneAnas con su scritto offerta.

Facile?

Fantascienza.

Tanto che loro fanno la spesa settimanale con trenta euro, e tu invece paghi con carta di credito e rene destro.

Alla cassa, tripudio.

Io prima di iniziare a posare la spesa sul rullo prendo un ansiolitico. Intanto non capisco mai quale cassa sia la più veloce e mi ritrovo sempre ad aspettare ore.

“Apre la cassa cinque”.

L’uomo scatola ci arriva in un balzo ( maledetto!). Io quando ho finito le manovre del Titanic sono nuovamente l’ultima della fila. Infatti rinuncio spesso.

Mentre svuoto il carrello penso che ho un arsenale di borse riutilizzabili che sarebbero utilissime.

Ma sono ( ovviamente) rimaste a casa.

Quindi ogni volta compro le dannate eco borse che si rompono già durante il tragitto. Avrei potuto prendere una scatola… Ma oramai sono al dunque…

La cassiera inizia la sua svalangata di codici a barre. Insacchetto un pezzo e lei ne ha passati otto.

Tlin! Tlin! Tlin!

È velocissima. Mi comunica il totale mentre io sono a metà lavoro.

Cerca borsa mia. Cerca portafoglio. “Ha moneta?”. Cerca portamonete. Eh santocielo !

Sento sulle spalle tutto l’odio di chi è in coda dopo di me. Che poi è lo stesso che provo io quando sono in fila.

Uno psicologo avrebbe due dritte da darmi. Sicuro.

La sistemazione nelle buste è l’ennesimo caos. Il signore davanti a me esce con tre sacchetti. Tre : frutta/verdura, secco e detersivi.

Tutto diviso.

Io ho ottanta sacchetti, alcuni leggerissimi, altri pesantissimi, e un paio che si stanno già tagliando da soli. Suicidio delle borse in diretta.

Vado verso l’uscita. Anche la mia coppia preferita sta andando via.

Lui spinge il carello e lei ci poggia una mano sopra. Come a ricordarsi che un po’ comanda lei. Che tenerezza …

Sono molto rilassati.

Io un po’ meno. Ho un’unica domanda che martella il mio cervello.

DOVE

HO MESSO

LE UOVA ???

Sono sotto a tutto. Me lo sento.

“Ragazzi sto arrivando, aspettatemi sul piazzale”

“Hai fatto la spesa mamma?”

” Certo! E stasera … FRITTATA!”.

Risolto.

Ma il vero dubbio è :

come fanno i maschi con le uova?

Ho un’unica spiegazione.

Non le comprano.

Geniali.

O LA BORSA O LA VITA? La borsa!

Vedevo giorni fa un servizio su uno scippo in strada.

Scena :

Malvivente punta anziana con borsa.

Malvivente acchiappa borsa con rapido strattone.

Anziana rimane incollata alla borsa e si fa trascinare da malvivente.

Giuro! non la mollava! La forza di cento leoni!

Ora. Cosa terrà mai in borsa un’anziana signora di tanto prezioso da non lasciare la presa in quel modo? I soldi della pensione : è l’unica risposta sensata.

Penso al contenuto che potrebbe avere quella di mia nonna.

Tipo :

Portafogli con qualche spiccio per comprare due mozzarelle alla drogheria di quartiere.

Tessera del Maxisconto.

Busta di nylon ripiegata con chiusura a bottone. Biglietti di vario tipo.

Fazzoletti. Cellulare vecchio e rigorosamente spento.

Una matita.

Foto del marito defunto. Foto della figlia del cugino vivo. Foto del nipote quando era militare ( ora è nonno a sua volta).

Nessun documento, solo fotocopie ( anziana ma non stupida).

Le chiavi no. Sono in tasca.

Anelli no. Sono legati alla catenina.

Forse, da buona sarda, può avere in borsa un coltellino. Unico pezzo prezioso. Ma non devo dirlo o si arrabbia.

Il resto vale zero.

Nonostante questo, sono certa che si farebbe trascinare per chilometri pure lei, pur di non mollare la sua preziosa borsa.

In barba all’età, è una donna santocielo. E con la borsa ci andrebbe pure a dormire!

La capisco. Farei esattamente lo stesso.

Praticamente la natura ci regala alcuni equipaggiamenti naturali con cui fare i conti : i peli, le tette e la borsa.

Tutta la vita.

Ma se con peli e tette vale la regola del bluff ( i peli li togli e sembra che non li hai, mentre le tette le inguaini e sembra che le hai) con la borsa non si mente.

La borsa racconta tutto.

Guarda una, una che entra in un locale, per dire. Guarda la sua borsa e puoi già fare una mezza seduta psicologica.

Intanto : la dimensione.

Una donna che si rispetti trasporta una borsa a cui mancano solo le ruote per essere una valigia. Perché la borsa è casa.

In borsa hai TUTTO.

Lo spazzolino, lo specchio 3D, cibo, deodorante, agende, libri, chiavi di casa anche dei vicini, album da disegno, chiodi e martello e trapano, piumino per la polvere, costume da bagno e ombrello per la pioggia. Trucco da giorno. Stucco per la sera. Una penna. Pure due.

Tutto questo perché non si sa mai …

Hai bisogno di qualcosa? Fame? Sete? Voglia di qualcosa di buono? Ambrogio levati che apro la borsa.

Se hai figli poi … trasporti pure abaco e dizionario e mutande di ricambio.

E se una donna non ha una borsa gigante, per me, ha qualche problema. Cioè : come fa?

Io, per dire, quelle con la pochette le guardo con sospetto … ma che ci mettono dentro? Le parolacce che non osano dire?

Le borse piccole le hanno senza dubbio inventate i maschi. Solo un uomo può pensare che si possa scegliere il contenuto: rossetto o profumo? chiavi o fazzoletto? telefono o sigarette? scarpe o assorbenti?

No, non si può. Bisogna mettere tutto.

Le pochette le hanno inventate per i matrimoni, ossia per quando sei vestita come una rimbambita e hai bisogno di qualcosa tra le mani per alleviare l’imbarazzo.

L’avete notato vero che ai matrimoni hanno tutte la borsa piccola? Perché quella vera rimane in macchina, nascosta da un drappo, e alla festa ci vai con quella finta. Giusto da tener dentro il cellulare per fare la foto con la tua amica vestita in verde merda, la stola sulle spalle e lo smalto viola.

Ecco. Ai matrimoni fiumi di stole e pochette, praticamente il teatro dell’assurdo.

La borsa

Deve

Essere

Grande !

E con il peso specifico di un trattore.

Le vere borse PESANO. Pesano della sostanza di mondi paralleli che trasportiamo a spalle e che si mischiano in rigoroso ordine sparso. Altro che divisori!

Ah, un consiglio.

Non svuotatele mai del tutto!

Io ad esempio tolgo i pezzi necessari, tipo portafoglio e portatutto, portaqualche, chiavi di casa, del negozio, chiavi inglesi, calze, mutande, fazzoletti, salviette, roll on, roll off, roll up, rock and roll… insomma, ciò che mi serve strettamente, e il sottobosco lo lascio.

Così quando la riprendo sei mesi dopo diventa la fiera della gioia : oh il mio becco per i capelli! oh ecco qui i guanti! oh queste caramelle del 1989, vediamo se sono ancora buone!

E poi i soldi!

Al cambio borsa guadagno sempre almeno venti euro in monete sparse in vari canestri al volo.

Dunque.

La borsa o la vita?

Coincidono… come si fa a scegliere?

Sai cosa? Scelgo la borsa.

Che se la tiro in testa al malvivente lo tramortisco sicuro, e ho salva la vita.

Vedi?

Borsa!

In foto : borsa oversize tote bag eidosaronno. Oserei dire : LA borsa.

LA STORIA DEL MAI ABBASTANZA.

Nella storia del mai abbastanza gareggiava da sempre con una lei spettinata. 

E con uno specchio che le diceva “sorridi”. 

Le forme nel tempo, il cambiare sembianze, già dai tempi passati in cui sprofondava in maglioni giganti perché non era abbastanza

Abbastanza magra piatta alta lunga. 

Oggi forse manca un sacco d’altro. 

Sgomitava per essere sé. Fuori da imposizioni amorevolevoli che iniziavano sempre con un “dovresti”. 

Dovresti provarci, dovresti fare, dovresti dire. 

Probabilmente avrebbe dovuto essere altro, forse perché non era abbastanza perfetta per tutti. 

Oggi accumula sbagli quotidiani, sbatte la faccia nel troppo voler fare, con il “non abbastanza” sempre nelle orecchie. 

E corre e corre e corre fino al punto di dimenticare. 

Come quando ha dimenticato di andarlo a prendere a scuola e si è detta che come mamma talvolta non era abbastanza

E poi i fantasmi, mai troppo fantasmi. Quelli che la strozzano dritti alla gola e non la fanno mai piangere abbastanza

Vorrebbe piangere un’ora intera, o forse un giorno e anche una notte. 

Svegliarsi al mattino pensando che le lacrime hanno lavato via tutto e i singhiozzi hanno scacciato il buio. 

Invece di questi momenti non ne trova abbastanza, e il non detto e il non fatto li rimette nella sacca dei silenzi

Così scrive e inonda diari di parole che poi chiude in qualche dove. 

Forse insieme a quei brava! che ha sempre aspettato e che cerca di regalare agli altri.

Ai bambini.

A te. 

Forse insieme ai baci e alle carezze che dispensa, perché il suo motore è proprio quello, la cura paziente di chi ama le piccole cose

Sbaglia modi, sbaglia tempi, sbaglia scarpe e vestiti, sbaglia casa e gusti, sbaglia in auto e sbaglia numero. Collezionista seriale di commenti e appunti severi. 

Vaso di Pandora in cui tutti hanno il piacere di aggiungere qualcosa. 

Nutre desideri e alimenta sogni che porta a letto ogni notte. E li culla con la nenia più antica e la voce più dolce. 

Che ascolta anche lei quando non ha sonno abbastanza. 

E si risveglia come sempre, spettinata e corazzata, pensando che se davvero non è mai abbastanza

di questa donna

chi non ha capito niente

forse

sei tu

CONTENITORI E AMORE

Un sabato ogni quindici giorni mangio una cena al volo dai miei genitori. Succede perché devo recuperare i miei ragazzi ma anche perché solitamente il sabato è una giornata campale in cui spesso non vedo nè colazione nè pranzo e questa cena è balsamo per lo stomaco. 

In quel sabato sera faccio due chiacchiere da tranquilla con loro, mi gusto un pasto preparato, seduta al tavolo e con calma. 

Impagabile. 

Oggi la cena è saltata.

Colpa mia. 

Ho finito tardissimo e volevo solamente tornare a casa. 

Avrei sicuramente saltato la cena. Quando è così non cucino nemmeno a pagamento, sazia della mia stessa stanchezza. 

E invece … babbo mi ha preparato il contenitore

Ecco, io sul contenitore mi sciolgo

L’idea che abbia cucinato, che si sia dispiaciuto della mia assenza e che abbia messo il mio cibo in quella scatoletta a me commuove. 

Questa cena del sabato mette i miei genitori duramente in crisi ogni volta. Mia madre specialmente sono anni che non capisce cosa diavolo mangi io. 

Il giorno che le ho spiegato della mia scelta vegetariana mi ha guardata come se le avessi comunicato l’imminente esplosione del globo terrestre. 

“Ma perché ?”. Mi ha chiesto.

Io e mia sorella siamo il prodotto di una donna sarda che ha sposato un toscano. Motivo per cui da piccole siamo state svezzate direttamente con maiale allo spiedo e bistecche di brontosauro al sangue. 

Ho spiegato a mia madre che avermi a tavola non deve essere un problema, e che io mi adatto comunque a mangiare ciò che posso. Nessun menù a parte. 

Ma no

Non se ne fa una ragione. 

“Ho fatto la salsina verde”.

“Ha le acciughe mamma?”.

“ Sì, ma poche”.

Mmmm…

“Ho fatto la torta salata. Mangia tranquilla che di prosciutto ne ho messo pochissimo..”

“Mamma …”

“ Ma è solo prosciutto !”

O come stasera:

“Il tonno lo mangi?”

È pesce, mamma, anche se in una scatoletta è pesce …

Non c’è verso.

E a me fa un sacco ridere. 

“ Dai Stefania, per una volta, non succede niente..”

Si dibatte in modo amorevole e le tenta tutte. 

Mio padre invece pare aver metabolizzato e si cimenta in preparazioni di vario tipo. 

Stasera ha fatto le polpette di fagioli. Per me. E vedendole avanzare causa assenza della sottoscritta ha preparato il contenitore

Sei polpette. Disposte alla perfezione. Con calma e cura. Tutte della stessa dimensione. Panatura impeccabile. 

L’ho aperto a casa e ho fissato l’opera. 

Son polpette, direbbe chiunque. 

No

Quello è proprio mio papà. Quella è la sua attenzione

E mi ha ricordato le gite da ragazzina con lui che si svegliava presto e mi preparava il pranzo da portarmi dietro.

Quei pomodori tagliati a cubetti, o il panino scientifico in cui nulla sbordava. 

Il sacchetto in cui riponeva il suo amore. La forchetta chiusa nel tovagliolo e un frutto. Pensava a tutto. 

Non ci badavo, allora. 

Oggi invece ripensandoci, ho fermato gli occhi su quella sua piccola opera d’arte e ho sorriso. 

I papà sono patrimonio dell’umanità. 

E i contenitori pure. 

Anche a quarant’anni. 

❤️

In foto : babbo annuncia contenitore, figlia felice

QUANDO GOOGLE NON TI SALVAVA LA VITA. Ovvero, ricordi d’infanzia in ordine sparso.

Dunque, sono andata a trovare i bambini al mare.

Come da tradizione sono là con la ( Santa ) nonna e come da tradizione do loro più fastidio che piacere…

Da qualche anno oramai hanno un nutrito e affezionato gruppo di amici con cui si ritrovano ogni estate, il che è gran cosa, sia chiaro, ma alla fine la mia presenza è più di ingombro che altro.

Dal canto mio, per me, è pure un mezzo supplizio, dal momento che non esiste credo momento dell’anno in cui ci sia un accumulo tale di umanità e urla e sudori e olio bilboa tutto nella stessa striscia di terra.

Insomma il mio lunedì di visita è stato più che altro un osservarli a distanza mentre si davano un gran da fare tra partite a carte, tornei di ogni tipo e gare di calciobalilla.

L’unico momento in cui si sono accorti della mia presenza è stato in un accoratissimo istante di bisogno : puntura di medusa !

Mentre mio figlio mi indicava il minuscolo ( maschio è …) puntino che testimoniava il contatto col mostro marino, i casi di bambini colpiti dalla medusa killer sono diventati otto.

Panico in spiaggia.

Picco di accessi su Google.

Inutile il mio sdrammatizzare. In un lampo, circa 16 persone tra nonni, zii e genitori di vario genere si sono laureati con lode in medicina e hanno iniziato a spiegare a chiunque di reazioni cutanee, crisi respiratorie, danni permanenti, amputazioni e morti di bambini punti da meduse.

Santocielo.

Mentre il vicino di ombrellone inizia dunque ad applicare in alternanza pietre calde e fredde sulla gamba di mio figlio, io perdo quasi l’uso della parola.

“Funzionerà mamma?”.

Che dire …

Cerco di ricordare se mi sia successo da piccola. Non lo so.

Certo è che sicuramente ai miei tempi qualcuno avrebbe sfoderato il lasonil.

Era un unguento magico.

Cadevi : lasonil.

Graffio : lasonil.

Dolore : lasonil.

Per tutto il resto c’era il dottore.

Ci visitava direttamente a scuola. Visita annuale e prescrizioni uguali per tutti : apparecchio per i denti, pastiglia di fluoro per le carie ( la dava direttamente la maestra in classe), nuoto per la schiena e scarpe ortopediche. In seconda elementare avevamo tutti le scarpe di zio Fester. Una generazione di piedi piatti.

Il dente muoveva? Mamma lo attaccava con un filo alla porta e poi diceva “ dai un bel colpo di tosse” e sbam! porta chiusa e dente tolto.

Il fluoro ce lo davano per proteggerci dalla merenda. Altro che frutta. Ricordo fette di pane alte tre dita con su miele, burro, zucchero… e poi … l’uovo sbattuto! Mia nonna lo montava meglio del mulinex.

Bambini deboli? Olio di fegato di merluzzo.

Pallidi? Bistecca di fegato ( ma non di merluzzo) e carne di cavallo.

Sovrappeso? La cura era in cortile. Salto della corda, hula hoop, gioco dell’elastico e tanta bici. In bici ovunque, con la graziella senza i cambi e il sellino in marmo di Carrara.

Graffi? Saliva.

Sbucciature? Acqua ossigenata a novanta volumi ( altro che il disinfettantechenonbrucia).

Scottature? Bianco d’uovo. Tirava che è una meraviglia.

Brufoli in adolescenza? Sapone allo zolfo. Seccava sia le pustole che l’anima.

Punture di zanzara? Le incidevamo con le unghie facendo una croce nella pelle. Prude ancora? Ammoniaca finché il tuo odore e quello della lettiera del gatto si confondevano.

E al mare le meduse alla fine c’erano? Mi viene solo in mente che ci sono stati anni in cui uscivamo dall’acqua pieni di catrame. Non c’erano perché morivano, mi sa.

“ Mamma dici che è grave?”.

Mio figlio mi riporta sulla terra.

Tesoro, se son viva io, sopravviverai pure tu.

E poi, oggi, c’è Google. Che vuoi di più ?

In foto : io che mi ustiono al mare o forse io che scappo dalle meduse. Chissà.

PICCIONI vs STEFANIA 1-0 . Cronaca della mia recente isteria.

Vorrei fare una premessa che sa un po’ di scusa, ma insomma…

AMO GLI ANIMALI.

Ma tutti eh. I cani, i leoni, le galline, i furetti e pure gli insetti. Guarda, amo anche le zanzare e le mosche.

E i piccioni.

Ma a casa loro.

Suona come le frasi nonsonorazzistama… ma è solo un’impressione.

Fanno quel versetto che è pure simpatico, e hanno quell’andatura che non so perché ma mi ricorda i pinguini.

Amo anche i pinguini.

Ma i piccioni, santocielo! mi stanno facendo impazzire.

Stavano allegramente sul campanile della chiesa vicino a casa mia ( ecco, il campanile invece lo odio perché suona anche la notte) poi il vento si è portato via mezzo tetto ( del campanile) e i piccioni han dovuto migrare.

Forse erano di quelli pigri, perché potevano andare nelle Marche, per dire, e invece hanno fatto venti metri e si sono installati a casa mia.

Prima erano due.

Poi son diventati duecentomila.

E quel versetto simpatico è diventato un tubare tale che non sento nemmeno più le campane di notte.

Infatti il campanile l’hanno aggiustato ma i piccioni son rimasti da me, perché le campane non le suono – ancora – e nel mio porticato se ne stanno evidentemente più tranquilli.

Dall’arrivo dei miei nuovi coinquilini all’esaurimento nervoso il passo è stato breve.

A parte che un elefante e tutto il circo Orfei sporcano meno, questi fanno un casino infernale.

Ho iniziato con metodi semplici. Tipo uscire sul balcone e battere le mani come Joaquín Cortés. Scappavano subito, spaventati dalla maestrìa con cui ogni giorno arricchivo la mossa. Mani, tacco, fianco e olè ! via tutti.

Poi lo spettacolo deve essere diventato di loro gradimento e hanno capito che potevano assistere senza pagare il biglietto.

Fine del flamenco.

Allora ho studiato le barriere.

Aste, travi, chiodi, reti. Come individuavo gli appoggi chiudevo gli accessi. Solo che hanno scoperto zone incredibili e hanno fatto trincea.

Mi han detto “ prova con gli ultrasuoni o con la pistola a salve”.

Ecco, con la pistola a salve mi ci sarei pure vista bene, ma a parte il temere un mio eccesso di zelo – tipo chessó sparare anche al campanile – ho guardato in faccia i miei cani e ci siamo detti a vicenda che forse era meglio di no.

Poi ho letto un giorno per caso un post di un amico con lo stesso disagio.

Nel tentativo di disarmare i nemici pennuti aveva creato una meravigliosa struttura di pali e alluminio. Una cosa tipo bandiere di domopack sventolanti e terrorizzanti.

Bene.

Armata di sacro fervore ho dato fondo a tutte le mie riserve di stagnola, teglie monouso comprese, e ho addobbato casa. Il Natale dell’alluminio.

Nulla.

I piccioni le hanno trovate molto comode come nuovo appoggio su cui posare i loro soffici deretani.

Mi sono dunque rimaste due sole possibilità casalinghe : la scopa e il mocio vileda.

Al grido di “scatenate l’inferno” – che me lo urlo da sola in quanto unica combattente- ho sortito qualche misero effetto giusto i primi giorni.

Da una parte la scopa, dall’altra lo scopettone a frange ho impaurito forse otto piccioni in tutto.

Gli altri, appollaiati sopra la mia testa tra una finta trappola e l’altra, mi osservavano con inquietante strafottenza. Come a dirmi che con tutta quell’agitazione semplicemente avrebbero defecato un po’ di più e meglio.

Nel frattempo mi son pure rotta una costola e quindi ho dovuto smettere con i miei riti vichinghi.

L’addestramento dei cani pare sia inutile ( i miei poi non sanno nemmeno saltare, dunque …) e ho recentemente appreso che gli spuntoni che evitano l’appoggio dei piccioni non è più legale, o qualcosa di simile.

Quasi pronta alla rassegnazione e alla convivenza forzata, ho avuto un’altra incredibile rivelazione : i falchi !

Ho trovato un falconiere che no! non mi affitterà il suo falco per fortuna, e no! non me ne venderà uno ( peccato, perché nella mia vita un falco ci stava), ma forse è in possesso di requisiti non cruenti per risolvere il mio problema.

Lo chiamo oggi.

Non sto a dirvi quanto la mia immaginazione voli alto ( quanto le aquile forse) e penso già che nel mio giardino succederà qualcosa di epico.

Temo che dovrò calmare gli entusiasmi.

Nel frattempo sogno la mia libertà da piccioni e chissà mai, magari anche dal campanile. Ma credo che per quello il falco non serva.

Vi aggiorno.

E se vi viene in mente qualcosa di meglio, non esitate.

Provo tutto e non temo gli insuccessi.

Ph. Paolo Masteghin.

Falco di palude.

GARANTISCE MAMMA. Storia di sopravvivenza.

Saremo felici lo stesso?

Abbiamo traslocato e le paure dei bambini nel lasciare la città sono state anche un po' le mie.

Ragazzi, sopravviverete , garantiscemamma.
Che se son sopravvissuta a tutto questo delirio potete farcela anche voi.

Una sera, seduti tra scatole e mobili smontati, in una specie di riunione di clan, ho tentato di spiegar loro la teoria del cambiamento. Mi hanno ascoltata con convinzione, anche se poi il loro problema era capire quanto prima si dovessero svegliare al mattino per andare a scuola.

Così la nostra riunione ha preso una piega nuova, in cui ho illustrato il mio sopravvivere alla crescita, per fargli capire che, tra agi decisamente maggiori, ci sarebbero riusciti pure loro.

Sono sopravvissuta ai ciripà chiusi con la spilla da balia e al lavaggio senza salviette. Al dormire nelle sdraio di legno all'asilo, anziché nelle morbide brandine di oggi. Alle ciabatte di feltro e all'abbigliamento in pura lana urticante. Al grembiule bianco fino alle ginocchia con il fiocco strozza bambini blu al collo.

Sono sopravvissuta alle scarpe ortopediche che rifilavano ad ogni bambino che avesse due piedi. Ai vestiti di carnevale cuciti da mia madre sempre fuori tema. All'apparecchio mobile per i denti che mi riduceva al mutismo. Agli zaini Invicta, alla giacca di montone e ai calzini col risvolto. Ai lacci per le scarpe fosforescenti fatti a truciolo.

Sono sopravvissuta senza cellulare fino a vent'anni comunicando con lettere, buste e francobolli. A scuola con i bigliettini. A casa con agenda telefonica e telefono con rotella ( che tenerezza!) . Ho gioito per il primo mangiadischi, consumato diverse radio con antenne paraboliche, pianto per il primo CD ricevuto a Natale ( Michael Jackson!) e imparavo i testi delle canzoni sul libretto che stava dentro alle musicassette. Quando si inceppavano le riavvolgevo con la matita.
Mi spostavo con il bus o in bicicletta. Sempre.
Giocavo in cortile a "elastico" e quando ero da sola usavo le sedie del salotto per tenerlo teso e saltavo lo stesso. Saltavo pure la corda e facevo girare con foga l'hulahoop, perché lo faceva Heater Parisi che a me piaceva tanto.

Sono sopravvissuta con i miei genitori a tre traslochi, di cui uno a casa dei miei nonni perché la casa nuova non era ancora pronta. Mancavano i letti e io e mia sorella dormivamo allegramente sul divano.
Non c'era Sky, né internet né un diavolo di niente. Scoprivo i programmi televisivi usando Televideo o al massimo leggendo Telesette che comprava mio padre, e che stazionava rigorosamente in bagno. Grandi letture in bagno, santocielo.

Sono sopravvissuta a un'infanzia senza videogiochi ad eccezione di un embrionale Pac Man e a un lentissimo Tetris. Non avevo Google ma mille enciclopedie, utilissime per ogni mia ricerca scolastica. Che libri preziosi!

Insomma.

Scuola e scarpinate da e verso la fermata dell'autobus. Amicizie da cortile con punto di ritrovo alla "capanna" che facevamo tra gli alberi con lenzuola e mollette per stendere. Nessuno svago socialmediaqualche.

Semplice ma efficace. Quasi preistorico.

Dunque ragazzi sì! saremo felici anche nella casa nuova. Abbiamo pure il prato.
E ciò che mi preme ora sapere è: chi di voi due mi aiuterà ad innaffiare e a tagliare l'erba?

Nuova vita.
Ci piacerà. Con quei dieci minuti di anticipo su tutto. Si può fare.

Garantisce mamma.

In foto : bambina sopravvissuta a disagi infantili vestita di feltro e lana pungente mentre passa la lucidatrice. Ossia : IO.