OTTO MARZO, QUASI NOVE

Mi arrovello da ieri ed arrivo come il fanalino di coda.

L’otto Marzo volge al termine, carico di mille pensieri. Oggi nulla mi sembrava adatto, ho il cuore troppo gonfio di pena per la cronaca che ci sta addosso.

Poi… poi arriva lui. Ho finito una giornata di lavoro, conciata un po’ così, e mentre mi dirigo all’auto incrocio il fenomeno del giorno. “Ciao bellezza” con il tono di chi potrebbe salutar così anche una mucca, purché con certezza sia femmina.

Tiro dritto.

“Hey, occhioni! Fai la maleducata e non saluti?”.

Non è giorno. Non è tempo. Non è il caso.

Mentre rifletto per non cadere nella rete provocatoria e conto fino a diecimila decido di deviare verso un caffè.

Sono sola al bancone e scambio due piacevoli chiacchiere con la barista. Entrano tre uomini, tergiversano con le ordinazioni, uno dei tre saluta il titolare ( maschio ) e domanda “Hai preso una nuova hostess?”.

Lo guardo. Poi guardo lei. Alza gli occhi e sparisce tra i bicchieri. Evaporano anche i tre moschettieri.

“Hostess?!?” commento.

“Non ci faccio nemmeno più caso, lascia stare…” . Affranta.

Mi torna alla mente una cara cliente del mio negozio, farmacista, laureata, preparata, competente, giovane, donna. In farmacia, nonostante stia al banco con un grembiule bianco e la targhetta col suffisso “Dottoressa” è per tutti la bionda.

Mi sale una tristezza cosmica.

È l’8 Marzo del duemila ventidue.

L’Italia conta già dodici vittime per femminicidio.

In Ucraina, donne e bambini sono dentro ad un incubo terrificante. Bombe, spari, morte, stupri.

Tutto pulsa nella mia testa e fatico a far combaciare la festa, i fiori, la guerra, la violenza ma anche i piccoli gesti irrispettosi ed irritanti a cui siamo sottoposte ogni giorno.

Il grande dibattito sembra arenarsi sugli asterischi e sulle “ə” che spianano le coscienze, amalgamano i generi, alleggeriscono i cuori.

Va bene. Che schwa sia.

Ma le basi.

Pretendiamo le basi. Il rispetto. Il riconoscimento. Il nostro posto. La nostra dignità. Il giusto compenso. La libertà vera di parola.

Proviamoci con le nuove generazioni, così pronte e fertili, così fresche nell’accogliere una società che cambia e che sgomita in quegli schemi vecchi e rigidi che non hanno più nulla a che fare con l’oggi.

Mi sento affranta ed impotente.

Spingo tutta la mia speranza nella direzione delle Donne, che con forza e coraggio stanno affrontando vite difficili in un mondo ancora tanto maschilista, guidato da uomini pronti a radere tutto al suolo per affermare il proprio potere.

La mia speranza va nella direzione delle Donne che dal loro dolore hanno saputo rinascere, con forza innata e naturale, tra le mura di case che sembrano pace e invece sono inferno.

La mia speranza è che la nostra lotta non debba più esistere perché i diritti saranno reali e che l’8 Marzo diventi un giorno qualunque, magari di sole e prime primule.

La mia speranza sono i miei figli, maschi. Prometto di impegnarmi tantissimo.

Oggi è proprio difficile.

Per fortuna, è quasi domani.

CARTOLERIA E DELIRIO.

Oggi sono stata in cartoleria per comprare alcune scatole.

Non so voi ma per me andare in cartoleria è come partecipare ad un rave party. Non ho mai capito se sono le luci, o forse con l’aria condizionata spandono gas speciali, forse è quell’odore, l’odore della carta a quintali, misto all’aroma dei tappi delle bic nere.

Chissà.

Insomma normalmente entro come se dovessi affrontare il bancone della miglior pasticceria dell’universo, e mi ripeto “sei qui solo per le scatole, comprerai le scatole e salirai in macchina, non devi cedere, tu sei più forte di questo stramaledetto negozio”.

Non ci riesco mai.

Esco con almeno due borsoni zeppi di cose che decido che avranno un’utilità in questa mia vita che necessita sempre di una penna nuova, di un blocco appunti, di quelle deliziose etichette su cui si può scrivere. Di una gomma. Uh guarda! La gomma pane! Esiste ancora! Un evidenziatore, la matita punta fine, un raccoglitore…

Poiché le cartolerie sono piene di compulsivi come me, a Natale mettono i numeretti all’ingresso tipo macelleria. Sanno che per certi articoli la gente arriva a picchiarsi, tipo per le scatole da pacchi.

Siccome per l’appunto mi conosco e volevo uscire solo con le scatole! le ho preordinate al mattino dicendo che sarei passata nel pomeriggio a ritirarle.

Oggi mezza città era dal mio cartolaio. Dalla porta a vetri ho dedotto che la mia permanenza nel negozio si sarebbe fatta pericolosa.

Prendo il numero.

Ho il 39. Alzo gli occhi al display e mi accorgo che stanno servendo il 21. Dannazione.

Mi fermo in un angolo, immobile, fisso il pavimento, sono molto determinata a non cedere al sibilo che mi stanno facendo i nastri da pacco.

Fortunatamente un amico mi saluta e mi distrae dalle sirene di Ulisse.

Piacevolmente occupata, in un tempo ragionevole vengono servite tutte le persone davanti a me.

TRENTANOVEEEEE!

Sono io!

Mentre lo esclamo, la signora di fianco a me pronuncia la stessa identica frase.

Guardi! E mi sventaglia sotto gli occhi il suo 39.

Fisso il mio. C’è scritto 39. Giuro.

L’incredulo cartolaio scavalca il bancone come il tizio dell’Olio Cuore, acchiappa i biglietti e felicissimo per l’evento, mostra a tutti quanti i due biglietti identici.

Incredibile! dice

Potreste scambiarvi numeri e vita!

Ma perché l’ha detto?

La signora sotto una mascherina a fiori sembra sorridere.

Ah! La vita della signorina io la prendo volentieri!

Guardi signora, le sconsiglio vivamente di pensarci anche solo per un attimo. Tenga la sua che è meglio. Ha tutta l’aria di una pensionata che sta qui a comprare biglietti per i regali ai nipotini, ci scriverà sopra vi voglio tanto bene, nonna con una bellissima stilografica a inchiostro nero, e loro conserveranno per sempre quelle righe.

Io stamattina sono uscita di casa e ho dovuto spalare la neve mentre i miei figli si lamentavano del freddo, come se a me invece la neve riscaldasse. Ho aperto la macchina col cric tanto era gelata e ho raschiato il ghiaccio dal vetro lanciando maledizioni a me stessa perché son senza guanti.

Che poi non li uso da mai, i guanti; non li sopporto, eppure al mattino, d’inverno, avrebbero un perché.

Mi sembrava anche una bella giornata, perché poi è uscito il sole, le strade si sono pulite e le persone sorridevano nonostante il freddo polare.

Invece mi ha scritto la Preside della scuola media, perché diosolosa cosa ha combinato questa volta quel dannato adolescente con cui convivo. Quello a cui ogni giorno chiedo “come è andata oggi a scuola?” e lui mi risponde benisssssimo mamma! e infatti poi mi scrive la Preside…

Vede Signora, sono madre bipolare oramai, un attimo lo adoro, l’attimo dopo lo lancerei dalla finestra, ma cosa devo fare? Lei dirà, analizzi i suoi sbagli educativi, e cosa crede, che non lo faccia ogni santo giorno?

Mi faccio domande su tutto, dica un argomento e io posso farle mille esempi di domande su cui mi arrovello.

Sente la signora dietro di noi? Sta dicendo che gli episodi di numeri doppi sono comuni anche nei centri vaccinali. Lei sarà già alla terza dose, a me tocca tra dieci giorni.

Lei ci sarà andata tranquilla, io invece no. Ho spostato la data due volte mia cara, per andarci di domenica, perché so che mi farà malissimo il braccio e dovrò lavorare. E se mi venisse la febbre? Non ho mai la febbre, ma vuoi che mi venga questa volta, e siamo pure vicini a Natale?

Ma tanto guardi, non sarà certamente come la prima o la seconda dose per noi, sa?

Le prime due volte ci siamo sentiti eroici, ci siamo fatti le foto. Anche io ho fatto la foto con il mio cerotto al braccio. Pensi che la seconda è capitata nel giorno del mio compleanno e mi è parso un regalo S T R A B I L I A N T E ! Come ero felice Signora!

Ma adesso… adesso sto notando che la foto non se la fa più nessuno. Qualcuno, un po’ più ardito, comunica l’evento con poche parole. Vedo qualche post tipo “e tre! Terza fatta! Sono a tre! Mi sento moderna” , perché ci fanno il Moderna a noi, Signora.

Nessuna foto. Nessun traguardo. Poche gioie. Ci sto pensando a questa cosa sa? e mi interrogo sul da farsi. Credo che una foto mentre tiro su 3 dita magari la faccio. Mi sembra un gesto di speranza.

Ne abbiamo bisogno Signora cara, oggi ho pure letto che da lunedì torniamo arancioni. Forse aranciorossi. Meno di rosso ma ben più di arancio, e mi è salita una stanchezza… Signora, non so Lei, ma io non mi ricordo nemmeno più cosa succede con questi colori.

Si figuri che non mi sono nemmeno accorta che aravamo gialli! Ma siamo stati gialli secondo lei? A Lei effettivamente che importa, è in pensione. Io invece le dico che nemmeno voglio pensarci agli orari, le consegne, la colazione fuori al freddo ma in movimento perché davanti al bar non ci puoi stare.

E poi al pomeriggio? Siamo bianchi. Bianchi Signora! Si son sbagliati.

Guardi, per me, la cosa più importante, è che non riparta la DAD. La DAD è il male assoluto. È satana fatto tecnologia. È il pigiama perenne, le lotte per la doccia perché non sono uscito perché devo lavarmi?, gli orari sballati, il tavolo sempre pieno di cose, le cuffie che non si collegano, il video che non si vede.

Signora, non mi parli di DAD perché svengo qui. Tutto ma non quello. La sola idea mi fa venir voglia di scappare non so dove. Anche da qui, da questa cartoleria che è il mio angolo di paradiso e mi sto rovinando il momento al punto che guardi Signora, prendo le scatole e vado, non le rubo mezzo minuto in più.

Non comprerò nulla, ritiro le scatole e vado.

Credo sia stato il gas del cartolaio. Perché in effetti io non ho detto nulla e la Signora, mentre ero persa nel mio delirio mentale, mi è passata davanti perché scusi, ma ho fretta.

La solita scusa degli anziani, che poi chissà che fretta hanno, non lo capirò mai.

Perché gli anziani hanno fretta e saltano le code? Non lo so.

Sono esausta. Ma per fortuna siamo bianchi.

Ritiro le mie scatole ed esco.

Quarantaaaaaaa!

Avanti un altro.

25 NOVEMBRE. Il giorno del silenzio che deve finire.

Il 25 novembre 1960 le sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, meglio conosciute come “Las Mariposas”, vengono uccise a bastonate e gettate in un dirupo dagli agenti del dittatore Trujillo, a Santo Domingo.

Erano già state arrestate e incarcerate per il loro attivismo contro il regime, e quel giorno stavano andando a trovare i mariti in carcere.

Nel 1993 la Dichiarazione di Vienna riconosce la violenza sulle donne come fenomeno sociale da combattere, e il 25 novembre viene scelto come giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

25 Novembre 2021.

Quasi trent’anni dopo.

Vengono intervistati gli italiani e un uomo su tre dichiara che uno schiaffo ad una donna non é violenza.

Che forzare la propria partner ad un rapporto sessuale senza il suo consenso non sia violenza.

Ma davvero?

Sí…

Oltre cento donne sono morte in Italia quest’anno.

La maggior parte sono state uccise dal proprio compagno o ex compagno.

La maggior parte non aveva sporto denuncia, e intorno a loro, nessuno sapeva o immaginava nulla.

Come ci aspettiamo che qualcosa cambi se ancora nel mondo maschile uno schiaffo ( uno schiaffo!) non é un problema?

Se così é, allora voglio un mondo al contrario, dove chi tira sberle, sono io.

Cammino per strada, tu mi fissi, fai un commento e io ti tiro un ceffone.

Sono sulla metro, mi guardi, ammicchi, ti strizzi il pacco, mi vieni vicino bonfonchiando cose, e io ti prendo a sberle.

Sono la dottoressa della farmacia, ti accolgo con il camice bianco e ho un ruolo ben preciso, ma tu entri e dici “voglio che mi serva la bionda”. Scavalco il bancone e ti giro la faccia a mani piene.

Sono in discoteca. Inizi a strusciarti fino a che la tua mano piomba sul mio sedere e palpa decisa. Ti arriva uno schiaffo.

Sono la tua segretaria, mi umili davanti a tutti perché non cedo alle tue avance e io in riunione mi alzo e senza dir nulla ti gonfio la faccia.

Sono la madre dei tuoi figli, tu decidi che ti tradisco e fai scenate di gelosia e urli di tutto. Uso entrambe le mani per suonartele a dovere.

Funzionerebbe?

Non credo.

Sicuramente le donne in questo mondo utopico sarebbero serenamente alla pari ma … niente violenza, grazie.

Non voglio stare in una società in cui ad ogni angolo di strada si sente rumore di schiaffoni, perché purtroppo, questo é ciò che succederebbe.

Parlo da madre di due figli maschi. Sento di avere un dovere morale, una strada da tracciare, una missione speciale, ed é quella di far capir loro che al mondo esistono “esseri umani” che sono suddivisi grossolanamente in maschi e femmine, e che vanno rispettati tutti, proprio perché il denominatore comune di ogni persona é “l’essere Umana”.

Vorrei che crescessero rispettando tutti e che capissero che la violenza non é soluzione ma mezzo becero e deprecabile per sfogare una frustrazione che devono risolvere in altro modo.

Perché se un uomo arriva a menare le mani, dallo spintone allo schiaffo alle botte, o ad usare violenza addirittura mortale per esprimere il suo dominio nel mondo, ha un problema.

E quel problema é un problema di tutti noi, della nostra società, ancora così scarsa nel far passare i princìpi basici del rispetto.

Se oggi, un uomo su tre, adulto, senziente e pensante, ritiene ancora che sia normale schiaffeggiare una donna, signori miei abbiamo un problema grandissimo. E ne siamo tutti responsabili, chiudendo gli occhi su tutte le realtà che abbiamo sotto il naso.

Le botte non sono amore.

Gli schiaffi non sono amore.

Qualunque forma di violenza, fisica e psicologica, non é amore.

Nessuna donna merita violenza.

Non esistono le “botte buone”.

E nel 2021, se il nostro Paese permette ancora che ci siano cento donne morte ogni anno, una ogni tre giorni, significa che c’è un vuoto da colmare.

Le donne non parlano perché hanno paura. Hanno paura di non essere credute o di non essere protette. Hanno paura che la pena non sia adeguata e di dover ricominciare il loro incubo poco dopo. Hanno paura di aver provocato certe reazioni. Hanno paura di dover lasciare figli, casa o lavoro, perché se denuncio chissà cosa succede.

Spero che ognuno possa partire dai propri figli.

Spero che nelle scuole ci sia modo di parlarne tanto, tantissimo.

Spero che se tu noti che qualcosa non va, mi aiuti a parlartene.

Spero che i vicini di casa sentendo le urla non alzino la tv.

Spero che nessuno più creda che “é solo un livido, ho sbattuto”.

Spero che non ci debbano più essere orfani di madri morte per mano di un padre.

Spero che quell’uomo su quattro incontri qualcuno che gli spieghi che il suo pensiero può cambiare questo mondo.

Spero, e lo dico sempre, che gli uomini capovolgano il loro pensiero e capiscano che sono gli unici, gli unici! ad avere il potere di salvarci.

Spero di non dover più parlare di 25 novembre.

Perché le donne vanno amate e rispettate ogni santissimo giorno.

SantiSubito. Santocielo.

Se fosse possibile aggiungerei qualcuno alla lista dei santi da festeggiare oggi.

In rigoroso ordine sparso.

✔️ i genitori che ottengono dai propri figli un “buongiorno” spontaneo senza doverli minacciare ogni volta che incontrano qualcuno.

✔️ le donne che riescono a indossare i collant senza smagliarli entro venti minuti.

✔️ gli uomini che cucinano.

✔️ le mamme che fanno torte mangiabili e persino belle.

✔️ i bambini che leggono libri.

✔️ i nonni che tappano i buchi neri della vita.

✔️ chi si prende cura degli altri, in qualunque modo e forma. È prezioso.

✔️ chi non si lamenta e combatte con l’ironia.

✔️ chiunque lavori la domenica e festivi permettendo a tutti gli altri di “fare cose”. Tipo la spesa o una cena al ristorante.

✔️ chi procrea nonostante siano tempi duri. Chi non procrea per svariati motivi ma soprattutto perché viva cani e gatti. Chi vorrebbe semplicemente un lavoro. Che poi magari ha tempo a far figli. Varie ed eventuali.

✔️i lavoratori sopravvissuti ad una pandemia.

✔️i ragazzi sopravvissuti alla DaD.

✔️noi tutti sopravvissuti al delirio in terra.

✔️mia nonna, che “mangia e vedrai che passa tutto”.

✔️ chi ha guizzi di umanità in questo momento così arrabbiato.

✔️ chi della sua passione fa motore di vita.

✔️ chi non ha nulla da nascondere.

✔️ chi asciuga lacrime.

✔️ chi provoca risate.

✔️ chi rende bello questo mondo senza chiedere nulla in cambio.

✔️ chi pratica il rispetto in ogni sua forma e sceglie ogni giorno la parola anziché la clava.

Santisubito.

Santocielo.

NOI, MADRI EQUILIBRISTE.

Ogni mattina uno studioso si sveglia e crea una percentuale, una statistica, analizza numeri.

Oggi per esempio ho letto che l’ultimo rapporto di Woman in The Workplace dice che nel Nord America, una donna su quattro vuole cambiare carriera o lasciare il lavoro.

Il report annuale di Save the Children ci ha definite “equilibriste, doppio turniste, triplo saltiste”. Il sottotitolo doveva forse essere “Save your Mum”…

Pare anche che le madri abbiano maggiori probabilità dei padri di avere problemi mentali … MA VAAAA?!?

La pandemia si è forse fumata i nostri progressi?

Non lo so. Credo però che un giro a casa di una madre lavoratrice italiana andrebbe fatta.

Tipo al mattino…

Ragazziiiiiiiiii ! Svegliaaaaaaa!

Dai che è tardi e sono due ore che vi chiamo. Il latte sarà freddo.

Tu cosa fai sotto quel piumone? Ti vedo eh! Ti stai lamentando di cosa? Della luce accesa? Se la lascio spenta partiamo domani.

Non strizzare gli occhi in quel modo, quante scene, so benissimo che sei sveglio, potevi andare a letto prima ieri sera. “Vai a letto, vai a letto”, mille scuse, ti sei coricato che io dormivo già.

Quelle mutande per terra? Non ti avevo detto di metterle nel cesto dopo la doccia ieri? Non è che posso sempre spezzarmi la schiena per raccogliere le tue cose dal pavimento. Dai che tuo fratello è già al tavolo.

Ritira la tua tazza per cortesia e piega il tovagliolo che non siamo ad un corso di origami. Forza. In bagno!

Lavate bene denti e faccia e non mi fregate che poi controllo. Fai aaaaaaaaaaa, ecco vedi? Torna indietro e usa il dentifricio, ti ho fatto umano, non gatto eh! Forza con l’acqua.

Come “cosa mi metto”! Apri il cassetto! Ma come “quale cassetto”! Quello del frigo, vai un po’ a vedere se trovi i calzini nel frigo? Ma dove stai andando? Stai veramente aprendo il frigo? Ma qui si dorme alla grandissima eh!

Stasera andate a dormire presto se no domattina siete peggio di oggi.

Chi ha la DAD stamattina? ho acceso il computer.

Ah nessuno? E dirmelo? Io con questi orari non capisco più niente. Quindi vi devo portare tutti e due a scuola? In succursale? E dov’è la succursale? Ma a scuola non avete più posti? Perché non vai alla tua scuola vera? Ma no che non me l’hai detto e lo sai che non sono nei gruppi delle mamme.

Ah! Dammi il diario che devo scrivere che non hai la febbre. Ma certo che non la misuro! stai benissimo! dai che è tardi, dammi una penna.

Cos’è che c’è scritto qui? È una nota questa? A quest’ora del mattino devo scoprire che giocavi con la gomma pane anziché fare i triangoli? Stasera la gomma pane la mangi per cena.

Voi due mi farete impazzire. Dai, andiamo, allaccia bene quelle scarpe che se cadi distruggi i denti, con quello che ci è costato l’apparecchio.

Scendiamo. Uno prenda il vetro e l’altro l’umido. No no, carini, io ho la mia borsa, il borsone del negozio e la tua cartellina di tecnologia, cosa devo usare, i piedi? Non è che posso fare tutto io qui, eh!

Dai, la macchina è laggiù. È lontana, lo so, ma ieri c’era posto solo qui, ma poi non è che morite se fate due passi. Per andare dagli amici scalate le montagne a piedi nudi, per arrivare alla macchina, lacrimoni…

Allacciate le cinture, dai che andiamo. Guarda che ti vedo dallo specchietto, eh!

a l l a c c i a t i ! Vuoi morire alla prima frenata?

Andiamo. Le mascherine le avete? Puoi non toccarmi tutte le rotelle che mi stari la radio grazie?

La mia cliente sarà già davanti al negozio. Cosa vuol dire “vabbè aspetta”, quello è lavoro, caro mio, argomento a te sconosciuto, caro il mio figlio dei tempi moderni.

A che ora uscite oggi? Possibile che non possiate uscire tutti alla stessa ora? Comunque, vi recupero, facciamo la spesa e poi dritti a casa che avrò da fare dieci lavatrici, voi e la vostra mania di cambiarvi tre volte al giorno. Una schiava sono, una schiava.

Chi? Matteo chi? A casa nostra? Oggi? Anche la taxista devo fare? Ma lo conosco? Fammi vedere la foto, no, non lo conosco. Ma sua madre lo sa o chiama Chi l’ha Visto? Non farmi fare figuracce, per cortesia.

Tu dimmi se i trattori devono girare a quest’ora del mattino. Suono il clacson perché dovrebbe lasciarmi passare, le madri dovrebbero sempre avere la precedenza.

Santocielo è tardissimo. Se arrivate tardi io non vi firmo nessuna giustifica, sia ben chiaro!

Dai. Siamo arrivati. Infilate le cartelle. Pronti a scendere…rapidi che ho gente dietro. Questa succursale è ben brutta. Vabbè.

Vi chiamo dopooo. E rispondete quando chiamo, il telefono serve a quelloooo.

Ciaooo.

Buona scuola!

Ecco.

Questa è la mattina. La prima mezz’ora della mattina.

Poi c’è il pranzo. Il pomeriggio. I Compiti. Le lavatrici. La cena. E a un certo punto, forse, si sviene nel letto.

Tra una cosa e l’altra, si lavora.

E noi, eroiche madri italiane, al lavoro, non rinunciamo.

Noi, al lavoro, ci riposiamo.

FUTURO VS BOOMER: 100 a ZERO

“Mamma posso andare alla manifestazione tra quindici giorni?”.

Già che i figli chiedano il permesso di manifestare mi fa sentir vecchia, che addirittura si programmi con così grande anticipo mi stupisce parecchio.

Ma certo!

Ho risposto di pancia, ripensando immediatamente alla me “manifestatrice” in anfibi e maglione gigante.

La data era a calendario: 24 settembre, Friday For Future.

Sarò una madre strana, ma questa cosa che i ragazzi manifestino e che sposino una causa, ancor più quella ambientale, a me garba parecchio.

Insomma ci siamo.

Oggi, puntuale come provenisse da una scuola svizzera, la notifica dell’assenza ingiustificata arriva sull’app genitore.

Alla faccia di noi adulti che ci sentiamo controllati, questi sgarrano un minuto e la scuola scrive.

Ok, il sistema funziona.

Nemmeno il tempo di leggere le due righe della comunicazione che mi accorgo che la bontà paterna ha prontamente giustificato.

La benedizione, seppur in case diverse, giunge sulla testa del nostro adolescente a quattro mani. Perfetto.

Inizio la mia giornata di lavoro e alla prima pausa butto un occhio ai social.

Una testata locale riprende il corteo dei ragazzi e in prima fila noto mio figlio, di fianco il suo amico, entrambi chirurgicamente mascherati e assembrati con coscienza.

Mio figlio regge il cartellone che ha preparato a casa, chiacchiera e cammina con evidente orgoglio.

Non nego di aver pensato che se avesse tentato sotterfugi, di questi tempi sarebbe stato beccato in un secondo, ma anche che questo nuovo mondo un po’ fa perdere la poesia del tutto.

Vabbè.

Noto che sotto al video compaiono un centinaio di commenti.

E mentre nel mio cervello si insinua l’aria della normalità, il profumo della gioventù che si entusiasma, mentre i miei occhi si riempiono con queste faccette vogliose di cambiare il mondo, insomma, mentre mi ubriaco di un venerdì che ha il gusto del futuro, inizio a leggere.

“ Vi aspetto quando verrete a cercare un lavoro!”

Ok. Rimanendo in tema di clima, qui forse il “clima” non è il massimo.

I boomer sono scatenati.

“Il clima! Siamo in dittatura e questi pensano al clima!”

“Pur di saltare scuola guarda cosa si fa”

Eccolo.

“Poi hanno tutti i vizi del mondo”, chissà quali sono i tuoi, penso.

“A cosa serve? Tanto non si può comandare il clima!”. L’esperto.

“Protestare per gli aumenti di luce, gas e benzina no?!?”.

Gli studenti?

“Va bene scioperare per una giusta causa.. ma ragazzi.. la cameretta in ordine la lasciate? Una mano ai genitori nelle faccende di casa la date?Anche in questi piccoli gesti si vede se ci tenete al clima”. A casa mia aiutano, stia tranquillo.

“Quindi hanno usato carta,pennarelli, si son fatti fare maglie a tema ecc per dirci di non sprecare e non inquinare..vorrei applaudirli per l’impegno ma..non so quanto sia giusto farlo..”.

Ragazzi! A gesti dovete esprimervi! A gesti!

“Camminano per il corteo, poi i genitori li portano e prendono a scuola con l’auto sul portone…camminate e anche tanto”. Dobbiamo farli volare!

“Una bella fila di ragazzi che a 18 anni prenderanno la macchina e poi ciao ciao Greta”. Ecco, Greta non l’aveva ancora citata nessuno.

“Ma mi spiegate a cosa serve lo sciopero per il clima?”. Lui è appena arrivato da Marte poverino. Non sa.

“ Quest’anno non possono scioperare per la DAD e allora un’altra scusa devono averla….sono veramente fortunata ad avere due nipoti di 18 anni e 13 anni che pensano solo a studiare….” Cuore di nonna …

“Mettono i ragazzi per fare numero come burattini”. Ma chi?

“Questi che oggi hanno tagliato a scuola, sono gli stessi che qualche mese manifestavano contro la dad perché NON si andava a scuola… GRANDI!”.

Fuori tema, Sig. Giraudo, voto 4.

“Bravi, ogni scusa è ottima per non andare a scuola. Poi raccogliete le cicche, mascherine, lattine e bottiglie che lasciate per terra o nei contenitori degli altri”.

Il pattume è tutta colpa dei giovani, noi adulti produciamo solo fiori.

“Ogni scusa è buona per saltare scuola, chissà perché non lo fate la domenica??”. Tesoro, non sa l’inglese e gli è sfuggito il Friday.

“Ma manifestare per il Green Pass quello no, dovreste farlo indifferentemente se uno è vaccinato o no. Già che molti si sono fatti vaccinare solo per poter uscire e non perché credono al vaccino”.

Una giornata, UNA! in cui si parla di un’altra cosa, no? Mamma mia …

“A zappare dovete andare! A zappare!”. Il Sig. Rossi è per la dittatura contadina.

Sono un po’ affranta.

I commenti aumentano a dismisura.

Leggo così tanta cattiveria che apro whatsapp e mando un cuore a mio figlio. Lo osservo che pulsa sullo schermo. Aggiungo un “Bravo! Sono fiera di te!”, come a massaggiare lo stomaco che mi è salito in gola.

Riapro l’articolo.

Scorro altre frasi, una peggio dell’altra.

Poi finalmente arriva lei: “Contentissima di essere entrata in aule semivuote stamattina. Brav*, avanti così!”.

È la mia amica Cristina. Professoressa.

Sorrido.

Allora non sono sola.

Allora questi ragazzi qualche anima l’hanno smossa davvero.

Allora esiste qualcuno che capisce che hanno bisogno di credere nelle cose importanti, che c’è stato un risveglio, che non sono dei rimbambiti.

Allora esistono degli adulti che sanno dar fiducia a queste generazioni nuove e così diverse.

Ha ragione lui: “Commenti degni del nulla in cui annegate”. È il mio compagno, che leggo con fierezza in mezzo ai rutti di tantissime persone.

Io oggi questi ragazzi li ringrazio.

E spero che la loro lotta continui, perché diciamolo, tutto questo schifo, glielo abbiamo regalato noi.

Scusateci.

CINICO MARE

Sono al mare e c’è un tempo di merda.
Per quanto mi riguarda, la giornata è perfetta.

Venticello fresco, zero sole, i ragazzi giocano a carte, io bevo una birra sotto la pergola del baretto in spiaggia.

Peccato che …
Peccato che ad un metro dalle mie orecchie una biondissima bambinetta con le trecce infeltrite stia urlando da circa trenta minuti posseduta dal demone del capriccio.

Trenta minuti sono tantissimi.

La letteratura propone in questi casi di ignorare la malefica creatura sino a che si spellerà le corde vocali.

I miei ricordi di infanzia mi ripropongono immagini di ciabatte volanti e calci in culo.

Specifico che la mini biondina sta urlando perché vuole fare il bagno mentre sulla spiaggia sventola un lenzuolo rosso a tre piazze con la parola “morte” cucita a mano dal bagnino.

Non riesco ad essere indifferente al capriccio fanciullesco. Cattura la mia attenzione in pochi secondi e azzera ogni mio istinto materno.

Ma ciò che mi fa più sclerare sono questi genitori in piena balia dello spettacolo in corso.

Dopo dieci minuti di capriccio la demone ha collezionato un sacchetto di patatine, un gelato, un pacchetto di palloncini e un Chupa Chups.
Quindi: più urlo e più ottengo.

Sento Tata Lucia accarezzarmi una spalla.

Non ci siamo.
E infatti sta ancora urlando.

Ho avuto un piccolo guizzo di gioia quando la mamma, con profonde occhiaie nonostante la vacanza, le ha detto con un sibilo che l’avrebbe fatta EVAPORARE.
Tra tutte le minacce, sin qui, mi è parsa la più interessante.

Mezza pergola del baretto ha sorriso con compiacimento. Tutti abbiamo pensato “Eh magari…”.

La bambina si è zittita per circa otto secondi, poi ha chiaramente intuito che la madre non possedeva assolutamente questi super poteri.
L’avrei aiutata, la mamma, ma non li ho nemmeno io.

Per questo ho attivato un timer che suonerà tra cinque minuti.
A quel punto, senza se e senza ma, la trascinerò dinnanzi alle onde furiose di oggi, senza preavviso alcuno, e la lancerò in mare.

Forza, nuota!

E calerà un meraviglioso silenzio.

Ho pensato ed immaginato questa cosa così intensamente, fissandola, che ha smesso.
Brava bambina, la lettura dello sguardo “limite superato” ti servirà tutta la vita.

Adesso mi concentro sul fratello, che mi sta facendo pericolosi rasetti col pallone, dritti al punto che sta tra il mio orecchio destro e l’epicentro dell’odio.

Ed è subito Ecce Bombo.

PUNTUALMENTE, IN RITARDO.

Non so voi, ma io continuo a sentirmi indietro di qualche passo.

Da questo fermo amministrativo alla vita, da questi tre mesi assurdi, fatico a riprendermi.

Credo che il primo ritardo sia iniziato la prima settimana di lock down.

Giorno uno: esplosione della caffettiera. Per una come me, che il caffè lo inietta in vena circa novanta volte al giorno, è stata una frustata in faccia.

Nello scoprire che le caffettiere non sono bene primario e che quindi non avrei potuto acquistarne un’altra, ho provato qualunque tipo di surrogato: caffè solubile, orzo, terra del giardino.

Nulla di buono. Il caffè è caffè, punto.

Credo che il mio ritardo sia iniziato così, con l’astinenza da caffeina.

La gente cantava sui balconi alle 18, e io ancora stendevo i panni.

La vicina di buon mattino impastava le fettuccine e io cercavo il senso della giornata.

Il mondo dormiva, io ero sveglia.

Mentre tutti trovavano fantastiche occupazioni e gioivano per questa ritrovata felicità casalinga, io rincorrevo giorni sempre uguali in cui mi sentivo letteralmente in gabbia.

Credo che casa mia abbia a un certo punto assunto le sembianze della puntata sette di “sepolti vivi”.

Il mio “io” ordinato era ovviamente in ritardo e ha lasciato rapidamente il posto alla quindicenne ribelle che appoggia tutto dove capita e “ci penso dopo”.

Salvo poi svegliarmi compulsiva, una mattina qualunque, e riordinare tutto come Marie Kondo.

Ditemi che non sono la sola… per favore …

Il primo giorno in cui mi sono seriamente guardata allo specchio ho capito che le settimane stavano inesorabilmente passando.

Capelli bianchi in prima linea, il degrado reso donna.

Ve lo ricordate come si sta senza parrucchiera e senza estetista?

Alla prossima pandemia lo specifichiamo a Conte che sono un bene primario?

Che piuttosto ci faccia sparire il detersivo, ma lasci aperti i centri bellezza! O no?

Ve li ricordate i baffi sino alle ginocchia?

Le ascelle di Tarzan?

La cofana in testa?

Ecco…

Tutto questo insieme al ruolo di casalinga, alla tuta-pigiama permanente e alla didattica a distanza: fonte di esaurimento quotidiano.

La didattica a distanza … vogliamo parlarne?

Almeno due lezioni alla volta, un solo computer. Ed è subito discussione tra fratelli.

Passava una nuvola, morta la connessione.

Entravano nell’aula virtuale e dopo dieci minuti venivano espulsi non si sa perché.

L’adolescenza scorbutica ha toccato vette altissime.

Parliamo di “CLASSE VIVA”?

Era viva veramente, mi sembrava un luogo nuovo ogni giorno, con i compiti che si mescolavano in ordine sparso. Cercavo aprile, usciva marzo, cliccavo matematica e si apriva il link, che rimandava al video, che conteneva la password per il quiz, che andava inviato via mail. Santocielo che fatica!

Le password …

Ne avremo create una cinquantina di nuove. Il mio frigo era tappezzato di promemoria, ma tanto anche quelle si rimescolavano in completa autonomia.

Io odio le password. Da quel momento, ancora di più.

Le lezioni delle elementari?

Sentivo il buongiorno della maestra e poi partivano le voci di tutti i compagni di mio figlio CONTEMPORANEAMENTE : maestra guarda il mio gatto! Maestra mia mamma qui ti saluta! Maestra guarda questo braccio che mi prude! Maestra hai visto la mia maglia?

Dopo un’ora era la stessa nausea del post montagne russe.

A settembre rivoglio la scuola.

Fate cosa volete, io rivoglio la scuola VERA.

Non “viva”.

E sono pronta a incatenarmi in piazza come Sandra Milo, urlando Ciro! Ciro! Oddio la scuola di Ciro!

Giuro che lo faccio.

Il ritardo mi è rimasto addosso.

Non so voi ma io ho perso il ritmo. Hanno riaperto i bar e non riesco a ritrovare nemmeno il vecchio tempo della colazione.

Sto dando la colpa persino al traffico. Mi sembra peggiorato, come se la gente non sapesse più guidare.

A me le strade vuote non dispiacevano affatto…

Sarà la folla di persone in giro? Non vi pare che siamo più di prima?

Osservo ciò che mi succede intorno e mi sembra pure che ci si sia incattiviti un po’.

Quelli degli arcobaleni e delle canzoni sul balcone dove sono finiti? In vacanza?

Non lo so.

Avrò tempo per capire questo nuovo mondo e di riappaiarmi con il giusto tempo.

Forse.

L’unica cosa che spero non passi, almeno non del tutto, è questa strana veglia notturna. Perché tante notti vi ho osservati dormire, amori della mia vita, e ed è stato bellissimo.

Che poi forse è il senso di questo gigantesco singhiozzo temporale:

fermarsi, osservare, amare.

Dicesi: vita.

MANUALE DI SOPRAVVIVENZA per donne disperate.

Donne!

Abbiamo 21 giorni da organizzare!

Ci vorrà molta pazienza.

Molta.

Molta.

Molta.

Per questo ho pensato di darvi alcuni spunti per arrivare al giorno 22 senza pendenze penali.

1 • Pettinarsi accuratamente i baffi. Estetiste chiuse, baffi ad altezza sterno. Debitamente acconciati, saranno piacevoli.

Tempo previsto : 30 minuti al giorno.

2 • Imparare a mettersi l’eye liner.

Prima di andare in ufficio è il peggior incubo, perché a metà opera sei nera anche sugli zigomi. Questione di esercizio. Obbiettivo raggiunto con : 1 ora al giorno.

3 • Mettersi lo smalto e riuscire finalmente a farlo asciugare.

Non hai scarpe da mettere, cappotti da infilare. Una volta lavati i piatti hai tutto il tempo necessario.

Tempo medio: 2 pomeriggi a settimana.

4 • Farti la maschera viso senza paura che qualcuno suoni alla porta.

Alleluia! nessuno vuole entrare in casa tua e puoi mascherarti come il Grinch in totale serenità.

Tempo previsto: 30 minuti, due volte a settimana.

5 • Districare i peli delle tue gambe con la spazzola del gatto.

Le piscine sono chiuse, stiamo in tuta da mattina a sera, crescita incolta, accarezzamento stile pet therapy. Una cosa è certa: tuo marito non sbufferà più per i continui appuntamenti al salone di bellezza.

Tempo consigliato: 1 ora al giorno.

6 • Trovare acconciature che camuffino la ricrescita dei capelli bianchi.

A disposizione su YouTube specifici tutorial di Moira Orfei.

Tempo previsto: 2 ore al giorno con pianto incluso.

7 • Togliere i punti neri a tuo figlio adolescente.

È talmente stordito dal non poter uscire, che sarà persino docile.

Sessioni consigliate: 2 a settimana da 30 minuti circa.

8 • Osservarsi attentamente allo specchio e scoprire che oltre ai baffi, sta spuntando la barba.

La sessione è in tre tempi.

Prima fase: 30 minuti di panico disperato. Seconda fase: corrompere l’estetista con sms minacciosi, foto con zoom e messaggi vocali, per altri 30 minuti. Terza fase: accettazione, rassegnazione e “tanto non mi vede nessuno”. Ripetere 5 volte per 20 minuti a giorni alterni.

9 • Piegare tutto, lavare tutto, stirare tutto, fare torte, marmellate e arrosti, parlare con la lavatrice, ballare col ferro da stiro, usare i mestoli come microfoni per cantare, leggere i dieci libri che hai comprato, imparare il russo, russare al pomeriggio.

A scelta, ogni giorno, due ore, mattina o pomeriggio.

10 • Spiegare con calma a tuo marito cosa volevi dire ogni singola volta in cui ti ha chiesto cos’hai? e tu hai risposto “niente”. Qui è necessario che lui abbia a disposizione un divano e acqua fresca per idratarsi, e tu uno spazio sufficiente per camminare avanti e indietro gesticolando. Mi baso sui tempi minimi, perché valuto l’energia che ti serve e le mezz’ore in cui lui si addormenterà.

Tempo medio previsto: otto giorni.

Ok.

Direi che è un’ottima partenza.

Calcolando che dobbiamo anche lavarci, mangiare e dormire, direi che questi 21 giorni voleranno.

Fatemi sapere.

CARTOLINE DAL SUD. Citofonare Desogus.

Cuneo, 1976.

Pettianu, Vriggiliu, Sraviu.

Per chi non sa il sardo: Sebastiano, Virgilio, Salvio.

Genero, suocero, cognato.

Sono insieme nella cantina di mio nonno.

Nonno aveva la mia età di oggi, eppure già sembrava vecchio.

Coppola in testa, pantaloni rammendati, maglioni lisi. Era ciò che potevano permettersi.

Due operai e un falegname. Nonno, per tirare avanti, riparava scarpe in una veranda gelida sino a notte.

Sfamavano tre famiglie e parecchi ragazzini.

Solo Virgilio, di figli ne aveva sette.

Le mogli rimediavano lavori a ore in casa. Quelle che oggi chiamiamo “le colf”, e che in quegli anni erano sguattere e basta.

Li vedete?

Nulla a che vedere con i quarantenni o i cinquantenni di oggi. Scuri, mal messi, mal vestiti. Non si vedono le scarpe e forse è meglio così.

Questa era l’immigrazione di quegli anni. Gente che veniva al Nord per trovare lavoro perché al paese si viveva di stenti e si urinava ancora in cortile.

Qui, invece, ogni palazzo aveva almeno un bagno ( comune) e si lavavano i panni ai lavatoi e non al fiume che gelava le mani.

Pullulavano lavori orrendi che nessuno voleva fare, ma che ceffi come questi tre accettavano ben volentieri.

La fatica non era un problema. La stanchezza nemmeno. Le mani sanguinanti erano quasi vanto.

Avevano un grande, grandissimo problema: gli mancava casa.

E il cordone ombelicale pulsava forte attraverso il cibo.

Mantenevano le le loro dannatissime abitudini: trovavano un allevatore, ammazzavano il maiale da soli e lo macellavano in casa.

Me lo ricordo.

Cuocevano e cucinavano per giorni, tutti insieme, in un caos infernale. Al banchetto si poteva unire chiunque. Ma alla fine di piemontesi nemmeno l’ombra.

Era difficile capirsi.

Il ritmo festaiolo sardo e quel modo di parlare, misto dialetto, dovevano essere cosa strana per l’impettito Nord.

Li sentivi discutere, questi sardi, e la loro carne era la più buona, e i loro dolci erano meravigliosi, e il pane è diverso, l’olio migliore. E il vino! Ma qui al nord bevono acqua, signori miei, bisogna farselo!

Ecco che si radunavano in cantina. Una volta da uno e una volta dall’altro. Tini e botti e bottiglie e avanti con la produzione.

A noi bambini davano la “saba”, un nettare dolcissimo e marmellatoso che avanzava dalle bucce e che poi la nonna infilava anche nei dolci.

Il vino lo assaggiavamo tutti, anche noi piccoli, tanto ci avevano allevato con il caffè e lo zucchero nel ciuccio e mille altre cose che oggi la pediatria avrebbe un collasso. Tutto faceva crescere.

Noi bambini, lerci ma felici, con i nonni poveri in canna, ma con addosso la collanina e gli orecchini d’oro da appena nati. Come gli zingari, dicono oggi.

E allora, dicevo, si chiudevano in cantina e bevevano e mangiavano.

Vedi? nel piatto ci sono le fave con le costine di maiale.

Cantavano. Si davano pacche sulla schiena. Fumavano mille sigarette di un trinciato che anneriva mezz’anima.

All’altra mezza ci pensava la fabbrica.

Non so in che stato risalissero in casa. Era gente che con una dormita risolveva tutto. Forse erano abituati, forse era buono il vino.

So che ci guarderebbero imbarazzati se oggi gli parlassimo dello Spritz.

Questi tre uomini rappresentano quello che una volta era il nemico vero, la forza lavoro da due soldi che viveva nel centro storico ancora pieno di prostitute, che accoglieva mille parenti che arrivavano per gli stessi motivi e la stessa disperazione, pronti a dormire in stanzini pieni di materassi a terra.

Lavoravano come muli e poi si chiudevano in casa e facevano festa, così, come in queste immagini. Nella bella stagione partivano armati di legna e facevano fuochi in qualunque prato e arrostivano di tutto con le radio con l’antenna a tutto volume.

Ascoltavano le loro canzoni e cantavano, alzando i bicchieri con le mani unte.

Erano genuini e grezzi. Chiusi nel loro mondo di ricordi e nelle loro speranze di tornare in paese.

Ti ricorda qualcuno?

Che io sappia, nessuno di loro è più tornato in Sardegna.

Si sono dapprima sposati tra loro, poi hanno iniziato a “mischiarsi”. La terza generazione ha perso tutti i cognomi.

Sono spariti gli accenti, le mono sopracciglia, la carnagione scura.

A guardarli bene, qualcosa rimane.

I sardi li riconosco dagli occhi: brillano. Pungono. Scrutano con dolce indecenza.

Li riconosco dal cuore. Sempre.

Nel 1976 facevano certamente una vita difficile, circondati da diffidenza e da dicerie di vario tipo.

Erano per tutti “i delinquenti dal coltello facile”.

Eppure, nel 1976 nessuno ha mai citofonato loro per chiedere se spacciavano. Se rubavano. Se erano dei poco di buono.

Nel 1976 il clima non era forse migliore, ma certamente più dignitoso.

Magari perché era l’unico Sud conosciuto.

O l’era della demenza non era ancora iniziata.

Chissà.

So che le radici vanno rispettate e ricordate. So che il sangue e il DNA si miscelano molto in fretta. So che nessuno, ma nessuno nessuno, può vantare pedigree di alcun tipo. So che la paura per il diverso non ha senso, e chi l’ha provata lo capisce bene.

So che dietro a queste facce, che ai tempi facevano paura, ci sono tre brave persone, che hanno portato

me

qui

oggi.

Con un computer davanti al naso e mille possibilità di capire il mondo.

Se non lo faccio, la cretina sono io.

Come chiunque decida di tapparsi gli occhi e ascoltare chi fomenta odio gratuito.

La cosa incredibile è che viviamo nel 2020.

Più di quarant’anni dopo e siamo quarant’anni indietro.