OTTO MARZO, QUASI NOVE

Mi arrovello da ieri ed arrivo come il fanalino di coda.

L’otto Marzo volge al termine, carico di mille pensieri. Oggi nulla mi sembrava adatto, ho il cuore troppo gonfio di pena per la cronaca che ci sta addosso.

Poi… poi arriva lui. Ho finito una giornata di lavoro, conciata un po’ così, e mentre mi dirigo all’auto incrocio il fenomeno del giorno. “Ciao bellezza” con il tono di chi potrebbe salutar così anche una mucca, purché con certezza sia femmina.

Tiro dritto.

“Hey, occhioni! Fai la maleducata e non saluti?”.

Non è giorno. Non è tempo. Non è il caso.

Mentre rifletto per non cadere nella rete provocatoria e conto fino a diecimila decido di deviare verso un caffè.

Sono sola al bancone e scambio due piacevoli chiacchiere con la barista. Entrano tre uomini, tergiversano con le ordinazioni, uno dei tre saluta il titolare ( maschio ) e domanda “Hai preso una nuova hostess?”.

Lo guardo. Poi guardo lei. Alza gli occhi e sparisce tra i bicchieri. Evaporano anche i tre moschettieri.

“Hostess?!?” commento.

“Non ci faccio nemmeno più caso, lascia stare…” . Affranta.

Mi torna alla mente una cara cliente del mio negozio, farmacista, laureata, preparata, competente, giovane, donna. In farmacia, nonostante stia al banco con un grembiule bianco e la targhetta col suffisso “Dottoressa” è per tutti la bionda.

Mi sale una tristezza cosmica.

È l’8 Marzo del duemila ventidue.

L’Italia conta già dodici vittime per femminicidio.

In Ucraina, donne e bambini sono dentro ad un incubo terrificante. Bombe, spari, morte, stupri.

Tutto pulsa nella mia testa e fatico a far combaciare la festa, i fiori, la guerra, la violenza ma anche i piccoli gesti irrispettosi ed irritanti a cui siamo sottoposte ogni giorno.

Il grande dibattito sembra arenarsi sugli asterischi e sulle “ə” che spianano le coscienze, amalgamano i generi, alleggeriscono i cuori.

Va bene. Che schwa sia.

Ma le basi.

Pretendiamo le basi. Il rispetto. Il riconoscimento. Il nostro posto. La nostra dignità. Il giusto compenso. La libertà vera di parola.

Proviamoci con le nuove generazioni, così pronte e fertili, così fresche nell’accogliere una società che cambia e che sgomita in quegli schemi vecchi e rigidi che non hanno più nulla a che fare con l’oggi.

Mi sento affranta ed impotente.

Spingo tutta la mia speranza nella direzione delle Donne, che con forza e coraggio stanno affrontando vite difficili in un mondo ancora tanto maschilista, guidato da uomini pronti a radere tutto al suolo per affermare il proprio potere.

La mia speranza va nella direzione delle Donne che dal loro dolore hanno saputo rinascere, con forza innata e naturale, tra le mura di case che sembrano pace e invece sono inferno.

La mia speranza è che la nostra lotta non debba più esistere perché i diritti saranno reali e che l’8 Marzo diventi un giorno qualunque, magari di sole e prime primule.

La mia speranza sono i miei figli, maschi. Prometto di impegnarmi tantissimo.

Oggi è proprio difficile.

Per fortuna, è quasi domani.

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